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Nella Roma senza luce di Sollima. A Venezia dieci minuti di applausi e standing ovation per «Adagio»

Un cast d’eccezione (ma con un trucco che rende irriconoscibili): Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Toni Servillo. Una “banda di padri” che devono salvare un figlio

Un «film intimo e sentimentale»: detto da Stefano Sollima, il regista delle serie Romanzo Criminale e Suburra, di Acab e Sicario, non c’è granché da stare tranquilli, ma è il suo nuovo mood ed arriva fino a Venezia 80 in concorso. È «Adagio», una storia scritta con Stefano Bises, piena di azione, inseguimenti, sangue in una Roma senza Colosseo, tutta periferia, distopica, sporca e rumorosa, mentre sullo sfondo dei Castelli brucia. Un film che ha avuto oltre 10 minuti di applausi e standing ovation, ieri sera, alla première in Sala Grande del Palazzo del Cinema.

«Un gangster movie, un noir – dice all’Ansa il regista – che ha al centro la paternità, tutte le forme possibili di amore filiale, di rapporto tra padri e figli biologici e non. E però tra vecchi banditi e nuovi criminali che si muovono solo per denaro, tra polizia corrotta, avanza un cuore puro, un ragazzo diverso, sensibile, come quelli delle nuove generazioni, che saranno pure svagati, fluidi ma sono la nostra speranza e io da padre ci credo davvero». Una produzione The Apartment, Vision, Alterego (in collaborazione con Sky e Netflix) su cui talmente si punta da uscire con Vision Distribution per Natale, il 14 dicembre.

Merito all’appeal di questo regista figlio d’arte, cresciuto a set e cinepresa, di una storia avvincente e in un cast all star con Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Adriano Giannini – tutti fisicamente quasi irriconoscibili per esigenze di copione – al servizio del protagonista, il giovane debuttante Gianmarco Franchini.
Per i magnifici quattro «una chiamata irresistibile» vista la fama di Sollima «di fare cinema cinema, con set impegnativi, faticosi, ma potenti» dicono in coro. «Con Sollima ho già lavorato tanto – dice Favino – mi preoccupa che consideri Adagio la fine della sua trilogia su Roma perché noi attori non aspettiamo altro».

Una Roma apocalittica e realistica al tempo stesso, «vista ad altezza strade, via Prenestina, via Casilina, il Mandrione, la stazione Tiburtina, senza monumenti, cinematograficamente poco vista», osserva Sollima, un set protagonista in cui richiamare all’opera reduci della Banda della Magliana che erano stati potentissimi e oggi invecchiano male, il cieco Mastandrea, il mezzo pazzo Servillo, il disperato Favino.
«Non cercano redenzione perché per quei criminali è impossibile, ma provano a salvare il ragazzo», aggiunge Favino che ogni giorno sul set per trasformarsi anche come aspetto fisico nel rabbioso, rancoroso, affranto criminale che ha perso il figlio sulle sue orme, impiegava circa cinque ore.

«Avevo voglia di girare una storia a Roma, chiudere un cerchio ideale – spiega Sollima evocando Romanzo Criminale e Suburra – ma questa volta c’è sentimento e speranza. A me piace raccontare gli esseri umani, non li giudico, li amo tutti ma qui nella Roma vista come Los Angeles, tre leggende criminali si muovono braccati dal poliziotto corrotto Adriano Giannini, andando alla fine in una direzione, l’amore per un figlio, in cambio di niente. A mio modo sono diventato sentimentale».

La prima polemica del festival l’accende Favino, che ha fa un appello in difesa del cinema italiano e accusa gli americani di «appropriazione culturale». Al centro del dibattito il film di Michael Mann «Ferrari», in cui l’attore Adam Driver interpreta Enzo Ferrari. Ed è proprio la scelta del cast (straniero) che fa indignare l’attore. «È assurdo far fare il Drake a Adam Driver» e che «in questo genere di film non siano coinvolti «attori italiani di livello» ma «stranieri lontani dai protagonisti reali delle storie, a cominciare dall’accento esotico. Ferrari in altre epoche lo avrebbe fatto Gassman, oggi invece lo fa Driver e nessuno dice nulla...». Poco dopo arriva la risposta di Andrea Iervolino, ceo di Ilbe e produttore di «Ferrari»: «Caro Favino, negli ultimi 30 anni il cinema italiano non ha creato uno star system riconoscibile nel mondo, così come invece è stato ai tempi di Gassman, nonostante nel panorama italiano ci siano moltissimi attori di eccellente professionalità, restando chiuso a collaborazioni internazionali».

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