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“Io capitano” e la libertà universale. Garrone applaudito a Venezia 80 e in odore di candidatura agli Oscar

Il regista: «Polemiche politiche? È una storia di ingiustizia, un’odissea contemporanea»

C’è Mamadou Kouassi della Costa d’Avorio, è un uomo fatto, 15 anni fa ha intrapreso il viaggio dal suo Paese, attraversando il deserto subsahariano in Niger, arrivando in Libia, patendo le torture e poi imbarcandosi in mare. Ora vive a Caserta e ha aiutato Matteo Garrone a rendere ancora più vero “Io capitano”, il film in sala da oggi con 01 in 203 copie e ieri applaudito in concorso a Venezia 80 e che molto probabilmente potrebbe essere il candidato italiano agli Oscar.

E poi ci sono Seydou Sarr e Moustapha Fall, i due protagonisti senegalesi, attori per caso, facce meravigliose con la voglia di Europa negli occhi e i primi autografi da firmare. E ci sarebbe stato anche Fofana Amara, il vero capitano che a 15 anni si ritrovò a guidare una barca di 250 migranti come lui senza averne mai condotta una e davvero urlò «Io capitano»: ora vive in Belgio, sposato con una donna conosciuta nel centro di accoglienza a Catania, hanno figli ma non ancora il permesso di soggiorno e per questo a Venezia non è potuto arrivare nonostante abbia ispirato la storia e collaborato al film.

“Io capitano” è un Pinocchio attualizzato, un mix con Gomorra (lo dice il regista citando due suoi film) ed è anche «un’odissea contemporanea, in cui i due ragazzi sono un simbolo della loro generazione globalizzata, parte di una migrazione che non è solo quella della fuga dalle guerre e dalle catastrofi climatiche. Il 70% degli africani sono giovani - spiega Garrone - e hanno il legittimo desiderio di migliorare la loro vita, essere liberi di circolare. È un fatto di giustizia: perché ai loro coetanei europei è permesso andare in vacanza in Senegal in aereo e loro al contrario devono affrontare un viaggio della speranza senza sapere se arriveranno vivi?».

Garrone ha scelto appositamente il Senegal e per protagonisti due minori poveri con dignità che hanno internet e voglio andare in Europa per stare meglio, lavorare, mandare i soldi a casa, diventare calciatori e rapper. «Ci vuole coraggio per fare quel viaggio e io stesso - racconta Mamadou - ero tentato di tornare indietro ma poi ho deciso di rischiare». La sua storia ha ispirato Garrone così come quella del giovane capitano e per aggiungere verità ai due attori protagonisti «che mai erano usciti dal Senegal» non ha mai dato il copione, «ogni giorno venivano sul set ed era un scoperta, come se vivessero l’avventura raccontata nel film, con i momenti di gioia e quelli di disperazione», racconta il regista che ha girato a Casablanca, Dakar e nel mare davanti a Marsala.

Cosa si augurano questi africani? «Che gli europei ci capiscano, comprendano il nostro desiderio di libertà che è universale, lo stesso dei ragazzi occidentali. E che ci siano canali di ingresso sicuri, che l’Europa non dia soldi a Paesi come Libia e Tunisia che calpestano i diritti umani. E anche che gli spettatori vedano le nostre sofferenze. Oggi - dicono - è una grande emozione».
. Il film si ferma prima dell’arrivo e il dopo? «Non so se avrò intenzione di raccontarlo ma non entro nel merito politico, da regista racconto una storia sul piano etico e universale di ingiustizia».

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