Giovedì 19 Settembre 2024

“L’orto americano”, la vecchiaia e la sincerità catartica. Pupi Avati fuori concorso a Venezia

Un mystery ad alta drammaticità, sulle orme del thriller classico, segna il ritorno al suo primo genere cinematografico per Pupi Avati, che ieri sera ha chiuso fuori concorso la Mostra del Cinema con il nuovo lavoro “L’orto americano”, dal suo romanzo omonimo edito da Solferino, adattato col figlio Tommaso. La decima partecipazione alla kermesse cinematografica per il regista bolognese, che ha sempre dato una narrazione di verità. E proprio ricorrendo al concetto di verità, Avati ha spiegato in conferenza stampa l’elemento autobiografico del suo lavoro, a cominciare dal rapporto col tempo. «C’è una sorta di civetteria negli esseri umani che cresce con gli anni – ha detto - Entrare nella vecchiaia fa sì che tu abbia la necessità di lasciare più tracce possibili di te stesso e cadono tutti i freni inibitori. Non ho più paura della sincerità e la vado a cercare. I vecchi entrano in una seconda infanzia: si torna bambini e, per trovare un certo tipo di rassicurazione, scendi a compromessi atroci e riveli di te stesso cose che non hai mai detto». Sempre in linea con la sincerità che può concedersi chi ha conquistato sul campo una meritata credibilità, il regista svela un suo rituale serale, apparentemente bizzarro, ma per lui carico di significato, su cui ha costruito la figura del protagonista: «Tutte le persone a cui ho voluto bene sono in una parete della mia stanza che chiamo Via degli Angeli (la madre nacque in una via con questo nome) – ha detto – Una parete fittissima, con tante cornicette d’oro e duecento esseri umani che mi sorridono. Dico i loro nomi e nel dirlo è come se in qualche modo aprissi il “pinguino” dell’aria condizionata: affluiscono nella mia camera da letto, dandomi la garanzia di una notte serena. Allora ho pensato che il protagonista del film potesse avere questo tipo di disturbo, questa “dilatazione del reale”, ossia pensare che ci sia qualcosa prodotta dalla nostra fantasia o un auspicio che possa esistere, perché la fede si fonda comunque su un auspicio». Ambientato nel secondo dopoguerra tra Bologna e l’America rurale, il film è stato girato in bianco e nero («È molto più cinema di qualunque forma espressiva si ricordi»- ha detto il regista) e narra la storia di un giovane psicopatico con aspirazioni letterarie (Filippo Scotti), dal nome ignoto, che ha un colpo di fulmine per Barbara (Mildred Gustafsson), una giovane infermiera dell’esercito americano, considerata, solo per un breve incrocio di sguardi, la donna della sua vita. La storia avrà un suo sviluppo nel Midwest americano, dove l’uomo andrà ad abitare un anno dopo, in una casa contigua (in realtà separata da un nefasto orto) a quella della donna, in cui però trova solo Flora (Rita Tushingham), la sua anziana madre. Inizia così un’intensa ricerca della giovane con situazioni di altissima drammaticità, che si concluderà in Italia in un modo del tutto inatteso. «L’Iowa, dove abbiamo girato, è abitato da persone simili ai nostri agricoltori – ha aggiunto il produttore Antonio Avati, fratello del regista - Siamo stati accolti bene perché da italiani abbiamo portato il cinema in questo Stato: non era mai andata una troupe cinematografica a girare un film professionale». Le riprese hanno toccato anche l’Emilia-Romagna, il Po e la zona di Comacchio, con l’assoluta collaborazione delle cittadine e della film commission regionale. «Mi sono innamorato del mio personaggio ed è difficile innamorarsi, anche nella vita – ha detto Armando De Ceccon, interprete di Glauco, fra i casi umani della storia - Pupi con questo film mi ha dato l’opportunità meravigliosa di imparate l’arte di farsi del male senza morire, perché nel film il male non muore, ma nemmeno la bellezza muore: rimane vivo quello che vorremmo uccidere, come quando si dice che si uccide un amore ma non si riesce a farlo. In questo senso il film insegna che “per sempre” ha un significato». Nel cast anche Chiara Caselli, Roberto De Francesco, Morena Gentile e il palermitano Filippo Velardi. Prodotto da Duea Film con Minerva Pictures e Rai Cinema, “L’orto americano” sarà in sala prossimamente con 01 Distribution.

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