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Le nuove frontiere della 'ndrangheta, l'analisi di Nicaso: interessi dall'Europa all'Australia

Antonio Nicaso

Le nuove frontiere della ‘ndrangheta. Una mafia globale, che estende i suoi interessi dall’Europa all’America passando per l’Australia. Le cosche calabresi arricchitesi con il traffico di droga investono oggi in ogni angolo del Pianeta. Ne parliamo con il professore Antonio Nicaso, docente universitario, scrittore, esperto su scala mondiale di mafie transnazionali.

Professore Nicaso come investe la ‘ndrangheta?

«S’inserisce ormai con facilità» risponde lo studioso «nei grandi circuiti finanziari, investe dappertutto e, in particolare , nel mattone che rappresenta una riserva di valore. Sfrutta molto i paradisi normativi, quei paesi in cui la legislazione antimafia e antiriciclaggio è molto blanda. Ma non solo. In Germania, per esempio,  investono senza dare nell’occhio, evitando la violenza e si muovono sotto traccia. La ‘ndrangheta è contro le leggi dello Stato ma non è affatto contro le leggi del mercato. Oggi gran parte del riciclaggio passa attaverso le banche che ci guadagnano nel rapporto costo-benefici».

Poi c’è anche un’altra frontiera, legata alle nuove tecnologie e alla globalizzazione: mi faccia un esempio.

«Nell’operazione “Pollino” condotta in quattro Paesi europei un broker della ‘ndrangheta era disposto a a pagare la droga con i bitcoin, ma in Sudamerica invece volevano le banconote da 500 euro che anche se non vengono più stampate non vengono ritirate. Ma c’è dell’altro:  si nota sempre di più la presenza di broker legati a boss calabresi che hanno contatti con hacker capaci di accedere al Deepweb. Si tratta di un internet sommerso utilizzato per acquistare e vendere droga, armi e che consente anche di assumere killer a pagamento. Ma sono diventati più sofisticati anche i sistemi di comunicazione in generale che passano pure attraverso i videogiochi.  Pensate a partite a distanza condotte non da veri giocatori ma da acquirenti mafiosi con fornitori stranieri».

Ci sono altre sostanze oltre la cocaina che garantiscono ai clan calabresi alti margini di guadagno?

«Il “Fentanil” è una delle droghe più richieste. Ed è molto più redditizia dell’eroina. I calabresi  se ne approvvigionano dai cartelli messicani di “Sinaloa” e “Jalisco”. Commercializzano anche il “Tramadolo” un potente analgesico sintetico conosciuto come “droga del combattente”, utilizzato dai miliziani per prepararsi alle battaglie. Il “Tramadolo” transita dall’Italia ed è destinato all’Africa. Nel porto di  Gioia Tauro, nel 2017, ne sono stati sequestrati 60 milioni di compresse in due operazioni».

Ma Gioia Tauro rimane ancora il principale scalo usato dalla ‘ndrangheta?

«Non più grazie all’attenzione degli investigatori. Rispetto al passato transita meno droga ed i porti preferiti sembrano essere quelli del Nord Europa, penso ad Anversa e Rotterdam».

Quali sono i settori nei quali più investono i clan calabresi?

«La crescita dell’economia mafiosa non è stata ostacolata dall’economia legale. Il riciclaggio in molti Paesi garantisce liquidità a stati e banche. Investono nel gioco on line, nello smaltimento dei rifiuti, nelle energie alternative e nei settori a bassa tecnologia ed alta densità di lavoro. La ‘ndrangheta diventa sempre più governo del territorio e si concentra sui settori a dominjo pubblico come gli appalti. C’è grande interesse per la fornitura di beni alimentari e nell’agricoltura dove è più sfruttabile la manodopera a basso costo. La strategia di espansione passa attraverso i settori in cui proliferano clientelismo e corruzione. Quelli che una volta erano considerati fenomeni eversivi oggi sono sempre più imprese a partecipazione politica ed economica».

Perchè l’azione di contrasto alla ‘ndrangheta fatica a globalizzarsi?

«Quando il ricavato del crimine è alimento per l’economia diventa più complicato combatterlo. Le mafie danno fastidio solo quando sparano: quando investono e riciclano denaro passano inosservate. In Canada, Germania, Australia, per questioni di marketing territoriale la lotta alla criminalità mafiosa non è stata mai prioritaria. Poi avvengono fatti come la strage di Duisburg e molti cominciano ad aprire gli occhi. Certa economia e certa  politica non riesce a fare a meno dei soldi e dei voti dei mafiosi».

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