Se l’indagine 'Aemilia' aveva portato alla luce la capacità della 'Ndrangheta di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale dell’Emilia, mostrando per la prima volta la potenza criminale della cosca Grande Aracri di Cutro, l’operazione 'Grimilde' che ha visto impegnati più di 300 agenti di polizia tra Parma, Reggio Emilia e Piacenza, coordinati dallo Sco (Servizio centrale operativo), ha dimostrato che il lavoro degli investigatori non è concluso e la cosca calabrese, nonostante arresti e sequestri, è ancora attiva.
Tra i destinatari delle misure di custodia cautelare chieste dalla pm della Dda di Bologna Beatrice Ronchi ed emesse dal Gip Alberto Ziroldi - 16, di cui 13 in carcere e 3 ai domiciliari, mentre gli indagati sono 76 - c'è anche il boss Francesco Grande Aracri (fratello del più noto Nicolino), oltre ai figli Salvatore e Paolo.
Francesco Grande Aracri, già condannato per associazione mafiosa in passato, viveva a Brescello, in provincia di Reggio Emilia. Secondo gli investigatori lui e i
figli erano a capo del gruppo criminale, i cui appartenenti sono responsabili a vario titolo di titolo di associazione di stampo mafioso, estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento
del lavoro, danneggiamento e truffa aggravata.
«Nessuna tregua e nessuna tolleranza per i boss, avanti tutta contro i clan», ha
commentato il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. In carcere è finito anche il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso, di Fratelli d’Italia, che secondo il gip «ha un ruolo non secondario nella consorteria».
«Il coinvolgimento personale di Caruso risale a quando era dipendente dell’Agenzia delle Dogane di Piacenza - ha spiegato il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato - non riguarda il suo ruolo politico». Fdi, appena appresa la notizia, ha sollevato Caruso dai suoi incarichi. Caruso, per il Gip, avrebbe «messo stabilmente a disposizione le prerogative, i rapporti professionali e amicali e gli strumenti connessi al proprio lavoro di dipendente dell’ufficio delle Dogane di Piacenza per il perseguimento degli interessi» del sodalizio 'ndranghetistico.
«Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari, oleifici, industriali - diceva il politico parlando con un’altro indagato mentre era intercettato nel 2015 - tutto quello che vuoi... quindi io so dove bussare...». E ancora, mentre parlava con il fratello Albino, anche lui arrestato: «Io con Salvatore (Grande Aracri, ndr) gli parlo chiaro, gli dico... Salvatò, non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna e succhiare o no?».
Il riferimento è alla 'Riso Roncaia Spa', azienda mantovana che si era rivolta all’organizzazione, finendo poi nelle sue grinfie e coinvolta in una presunta truffa su un finanziamento Agea. Negli atti si ricostruisce il ruolo dei fratelli Caruso, anche in quella che viene definita «vicenda Unicredit», cioè un debito con la banca.
Nelle conversazioni tra alcuni indagati si fa riferimento a un intervento dell’ex ad di Unicredit, il piacentino Federico Ghizzoni, che però non risulta coinvolto nell’inchiesta e gli investigatori sostengono che la sua conoscenza possa essere stata millantata.
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