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Cocaina dal Sud America gestita dalla 'ndrangheta, 9 arresti: perquisizioni a Reggio e Messina

Cocaina dritta dal Sud America sotto l'egida della 'ndrangheta e destinata alle piazze dello spaccio in Emilia Romagna e in Toscana. Questo il quadro accusatorio dell'operazione che dall'alba ha visto impiegato cento carabinieri che hanno eseguito 9 misure cautelari e 12 perquisizioni tra le province di Bologna, Firenze, Reggio Calabria, Messina e Viterbo per traffico, detenzione e spaccio di stupefacenti, ed intestazione fittizia di beni.

Le indagini sono state condotte dal reparto operativo del comando provinciale dei carabinieri di Bologna e coordinate dalla locale direzione distrettuale antimafia. Al centro dell’inchiesta una ramificata consorteria di soggetti a vario titolo organici o contigui - questo il quadro accusatorio - ad alcuni dei più noti casati della 'ndrangheta calabrese, attiva nell’importazione di rilevanti quantitativi di stupefacenti, soprattutto cocaina, provenienti dal Sud America e destinati alle piazze emiliano-romagnole e toscane.

Le indagini hanno consentito, tra l’altro, di documentare struttura ed assetti organizzativi interni della consorteria, articolata su una base logistico operativa principale nel capoluogo emiliano ed una cellula distaccata strategicamente in un paese della provincia di Firenze.

Gli indagati, secondo la ricostruzione degli investigatori, utilizzavano i più moderni dispositivi di comunicazione, resi disponibili da qualificati contatti di matrice albanese.

I nove arresti - 6 in carcere, tre ai domiciliari- sono scattati all’alba: 4 a Bologna, gli altri a Dicomano, ad Africo, a Messina e a Tuscania con le accuse di associazione a delinquere finalizzata al traffico, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina. L’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Bologna Sandro Pecorella è scattata all’esito delle indagini della Dda di Bologna, coordinate dal pm Roberto Ceroni. I provvedimenti sono stati eseguiti dai militari del Comando Provinciale di Bologna, e dei Comandi Provinciali di Firenze, Messina, Viterbo e del Gruppo di Locri.

L’indagine prende il via il 6 marzo 2016 quando la Polizia spagnola, su indicazione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Bologna, sequestrò 505 chili di cocaina a bordo di una barca vela partita dal Brasile, che, dopo uno scalo nell’isola di Capo Verde, sarebbe giunta a Barcellona. Quel carico di sostanza stupefacente era destinato alle piazze di spaccio di Bologna e per questa operazione furono arrestate sei persone dai militari del Comando Provinciale di Bologna.

Durante le perquisizioni effettuate nel corso degli arresti fu trovato un cellulare BlackBerry criptato in possesso di uno degli arrestati, che si scoprì poi aver comunicato con altri cellulari criptati ubicato nel centro di Bologna. Da qui il nuovo filone di indagine, alla ricerca di personaggi ritenuti importanti per l’organizzazione, coinvolta in traffici di cocaina di altissimo livello. Nel corso dei mesi, sono venuti alla luce personaggi calabresi legati in vario modo a consorterie di tiupo 'ndranghetistico, che comunicavano tra loro attraverso l’utilizzo di telefoni cellulari criptati, acquistati all’estero.

Solo l’utilizzo massiccio di intercettazioni ambientali e di software di tipo trojan, introdotti in segreto in alcuni di questi apparecchi, ha permesso di ricostruire l’organizzazione, di cui facevano parte esponenti con precedenti condanne per traffico anche internazionale di stupefacenti, tuttora dediti all’approvvigionamento di grandi quantitativi di cocaina da spacciare nelle piazze sia di Bologna che dell’Appennino toscano.

I cryptophone, del valore di 2.500-3.000 euro, venivano procurati da uno steward di una compagnia aerea albanese, che li importava in Italia sfruttando il suo lavoro. Solo grazie all’introduzione di un software trojan nel cellulare del «capo» dell’organizzazione che si è potuto dare un senso alle telefonate ed ai messaggi che intercorrevano tra i membri del gruppo. Non sono mancati pedinamenti e intercettazioni ambientali, che hanno portato al sequestro di 3 chili di cocaina, risultata pura al 95% tanto che una volta tagliata, avrebbe potuto trasformarsi in 65.000 dosi per ogni chilogrammo sequestrato.

Tutti gli arrestati «vantano» una vicinanza alla ndrangheta, in particolare al clan Morabito-Bruzzaniti-Palamara ed alla ndrina di San Giovanni in Fiore(CS). Nel corso delle indagini, infatti, diversi collaboratori di giustizia sono stati sentiti dagli inquirenti ed hanno tracciato i curricula criminali degli indagati. Tra tutti spicca quello ritenuto al vertice dell’organizzazione, Nunzio Pangallo, cognato di Rocco «Tamunga» Morabito, primula rossa del clan Morabito, noto perchè, dopo aver trascorso una latitanza di 23 anni in sud America, era stato arrestato dalla polizia boliviana nel 2017, per poi evadere nuovamente nel 2019 dal carcere di Montevideo.

Lo stesso Pangallo ha scontato una condanna di 15 anni per traffico di stupefacenti, durante la quale fu ulteriormente indagato perchè continuava a dare ordini alla sua organizzazione dal carcere attraverso cellulari introdotti clandestinamente. Anche per gli altri arrestati sono state accertate relazioni con famiglie ndranghetiste, pur non essendo emersi nel corso delle indagini elementi certi che possano far ritenere che le attività criminali messe in atto fossero finalizzate a favorire l’organizzazione mafiosa.

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