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Green pass, gli operatori del Pronto Soccorso: quello di 6 mesi è un problema

Simeu, validità è superata dai dati scientifici,sia aggiornabile

La Società Italiana Emergenza-Urgenza (Simeu) «esprime perplessità e preoccupazione sulla scadenza a 6 mesi» del green pass Covid. Una validità così breve, infatti, rappresenterebbe «un problema organizzativo per gli operatori sanitari» e «deve poter essere estesa oltre», in base alle evidenze scientifiche già disponibili. La certificazione verde sarà rilasciata a coloro che sono già stati vaccinati, che sono stati dichiarati guariti dopo un contagio o che sono risultati negativi a un tampone nelle precedenti 48 ore.

«La scadenza a 6 mesi - spiega Giulio Maria Ricciuto, presidente Simeu Lazio - sarebbe un grande problema organizzativo per medici e infermieri, soprattutto quelli dell’emergenza-urgenza, che hanno completato il ciclo vaccinale a cavallo fra fine gennaio e febbraio». La validità di sei mesi del pass, infatti, «oltre ad essere già superata dalle evidenze scientifiche, che ormai portano la copertura immunitaria ad almeno 9 mesi, renderà scoperti gli operatori sanitari fra luglio e agosto». Pertanto, i sanitari a partire da quella data "non potrebbero più stare a contatto con i malati», oltre a non godere delle possibilità che il pass prevede. «Per ovviare il problema, medici e infermieri dovrebbero essere vaccinati con una terza dose, sull'efficacia della quale però», spiega Ricciuto, «non si ha alcuna evidenza». Inoltre, «vaccinare medici e infermieri con il richiamo significherebbe sospendere le vaccinazioni degli italiani che ancora non sono stati vaccinati», per poi magari passare, con gli stessi principi, alla popolazione over 80 e ai soggetti fragili, «rallentando ulteriormente il percorso vaccinale del resto della popolazione». Alla luce di queste criticità, conclude Ricciuto, "la validità andrebbe rivista, lasciando la possibilità di spostamento in funzione delle evidenze scientifiche che verranno raccolte».

Garante privacy: gravi criticità per "pass vaccinali"

La norma appena approvata per la creazione e la gestione delle "certificazioni verdi", i cosiddetti pass vaccinali, presenta criticità tali da inficiare, se non opportunamente modificata, la validità e il funzionamento del sistema previsto per la riapertura degli spostamenti durante la pandemia. E’ quindi necessario un intervento urgente a tutela dei diritti e delle libertà delle personè. Questa l’indicazione del Garante per la protezione dei dati personali contenuta in un avvertimento formale, adottato ai sensi del Regolamento Ue, appena trasmesso a tutti i ministeri e agli altri soggetti coinvolti. Il provvedimento è stato inviato anche al presidente del Consiglio dei ministri, «per le valutazioni di competenza».

Il Garante osserva innanzitutto che «il cosiddetto "decreto riaperture" non garantisce una base normativa idonea per l’introduzione e l’utilizzo dei certificati verdi su scala nazionale, ed è gravemente incompleto in materia di protezione dei dati, privo di una valutazione dei possibili rischi su larga scala per i diritti e le libertà personali. In contrasto con quanto previsto dal Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali, il decreto non definisce con precisione le finalità per il trattamento dei dati sulla salute degli italiani, lasciando spazio a molteplici e imprevedibili utilizzi futuri, in potenziale disallineamento anche con analoghe iniziative europee. Non viene specificato chi è il titolare del trattamento dei dati, in violazione del principio di trasparenza, rendendo così difficile se non impossibile l’esercizio dei diritti degli interessati: ad esempio, in caso di informazioni non corrette contenute nelle certificazioni verdi».

«La norma - continua l’Authority - prevede inoltre un utilizzo eccessivo di dati sui certificati da esibire in caso di controllo, in violazione del principio di minimizzazione. Per garantire, ad esempio, la validità temporale della certificazione, sarebbe stato sufficiente prevedere un modulo che riportasse la sola data di scadenza del green pass, invece che utilizzare modelli differenti per chi si è precedentemente ammalato di Covid o ha effettuato la vaccinazione. Il sistema attualmente proposto, soprattutto nella fase transitoria, rischia, tra l’altro, di contenere dati inesatti o non aggiornati con gravi effetti sulla libertà di spostamento individuale. Non sono infine previsti tempi di conservazione dei dati nè misure adeguate per garantire la loro integrità e riservatezza».
Il Garante rimarca, infine, che «le gravi criticità rilevate si sarebbero potute risolvere preventivamente e in tempi rapidissimi se, come previsto dalla normativa europea e italiana, i soggetti coinvolti nella definizione del decreto legge avessero avviato la necessaria interlocuzione con l’Autorità, richiedendo il previsto parere, senza rinviare a successivi approfondimenti». L’Autorità ha comunque offerto al governo «la propria collaborazione per affrontare e superare le criticità rilevate».

Il Parlamenti Ue: evitare discriminazioni

Il Parlamento Europeo ha adottato la sua posizione negoziale sulla proposta di un certificato per riaffermare il diritto alla libera circolazione in Europa durante la pandemia. Gli eurodeputati hanno concordato che il nuovo "certificato EU COVID-19" - che dovrebbe sostituire la dicitura "certificato verde digitale" proposta dalla Commissione - dovrebbe avere una validità di 12 mesi e non di più. I deputati vogliono che il documento, che dovrebbe essere disponibile in formato digitale o cartaceo, attesti se una persona è stata vaccinata contro il coronavirus o, in alternativa, se ha effettuato un recente test con risultato negativo o se è guarita dall’infezione. Tuttavia, i certificati COVID-19 UE non serviranno come documento di viaggio, nè diventeranno una precondizione per esercitare il diritto alla libera circolazione.

La posizione del Parlamento Europeo prevede che i certificati siano soggetti a un controllo continuo per evitare frodi e falsificazioni, così come si debba verificata l’autenticità dei sigilli elettronici inclusi nel documento. I dati personali ottenuti dai certificati non dovrebbero essere conservati dagli stati membri di destinazione nè si dovrebbe costituire una banca dati centrale a livello UE. La lista delle entità che tratteranno e riceveranno i dati dovrà essere resa pubblica in modo tutti possano esercitare i loro diritti di protezione dei dati secondo il regolamento UE sulla protezione dei dati.

Dopo il voto in plenaria, Juan Fernando Lopez Aguilar (S&D), presidente della commissione per le libertà civili (LIBE) e relatore, ha affermato: "Abbiamo bisogno di mettere in atto il certificato COVID-19 EU per ristabilire la fiducia delle persone nell’area Schengen, mentre continuiamo a combattere la pandemia. Gli stati membri devono coordinare la loro risposta in modo sicuro e garantire la libera circolazione dei cittadini all’interno dell’UE. I vaccini e i test devono essere accessibili e gratuiti per tutti i cittadini. Gli stati membri non devono introdurre ulteriori restrizioni una volta che il certificato è in vigore". Sia il Parlamento che il Consiglio sono ora pronti a iniziare i negoziati. L’obiettivo è quello di raggiungere un accordo prima della stagione turistica estiva.

La proposta legislativa che riguarda i cittadini europei è stata approvata con 540 voti a 119 e 31 astensioni, mentre quella sui cittadini di paesi terzi è passata con 540 voti a 61 e 60 astensioni. La votazione ha avuto luogo mercoledì e i risultati sono stati annunciati giovedì mattina. Il Parlamento Europeo afferma che i titolari di un certificato COVID-19 UE non dovrebbero essere soggetti a ulteriori restrizioni di viaggio, come la quarantena, l’autoisolamento o i test. Secondo i deputati, al fine di evitare discriminazioni contro coloro che non sono vaccinati o non posso permettersi economicamente il test, i paesi UE dovrebbero "garantire test universali, accessibili, tempestivi e gratuiti".

I deputati sottolineano che i vaccini COVID-19 "devono essere prodotti su scala, a prezzi accessibili e distribuiti a livello globale". Esprimono anche "preoccupazione per i gravi problemi causati dalle aziende che non rispettano i programmi di produzione e consegna". Il Parlamento vuole assicurare che il certificato UE "sia armonizzato a qualsiasi iniziativa istituita dagli stati membri". I Paesi UE devono accettare i certificati rilasciati in altri stati membri per le persone vaccinate con un vaccino autorizzato in UE dall’Agenzia europea del farmaco (EMA) (attualmente Pfizer-BioNTech, Moderna, AstraZeneca e Janssen). Spetterà agli stati membri decidere se accettare anche i certificati di vaccinazione rilasciati in altri stati membri per i vaccini elencati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per uso di emergenza.

 

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