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Ragazza scomparsa a Reggio Emilia: le ultime ore di Saman. "Poi lo zio l'ha strangolata"

L’ultimo messaggio al fidanzato, alle 23.30 del 30 aprile, con un telefono utilizzato di nascosto. Poi la lite furiosa con padre e madre, le urla e gli insulti. Il tentativo di fuga. La telefonata del padre: «Saman è scappata di nuovo». L’intervento dello zio, descritto come un uomo violento, che dopo poco torna con lo zainetto di lei dandolo al padre, ma senza Saman: «Andate a casa, ora ci penso io». Sono queste, secondo quanto si è potuto ricostruire dal racconto del fratello minorenne della vittima e dalle telecamere, gli ultimi istanti di vita della diciottenne pachistana Saman Abbas. Per i carabinieri e la Procura di Reggio Emilia è stata assassinata, probabilmente strangolata, dallo zio Danish Hasnain su istigazione del papà Shabbar Abbas e della mamma Nazia Shaheen, la notte tra il 30 aprile e il primo maggio, vicino alla casa di Novellara, dove la famiglia viveva. E dove la diciottenne non voleva più stare: si era opposta a un matrimonio combinato con un parente in patria e voleva andarsene.

La scomparsa

È sparita dal 30 aprile. I genitori il giorno dopo fanno rientro in Pakistan con un biglietto comprato due giorni prima. Il 10 maggio Hasnain, due cugini di Saman, Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz, anch’essi indagati, sono stati controllati in provincia di Imperia, insieme al fratello minorenne della vittima. Il ragazzo è stato fermato e collocato in una comunità protetta e ha iniziato a fornire il suo racconto, testimonianza cruciale, accusando lo zio che gli ha confessato il delitto. Ijaz invece è stato fermato a Nimes, mentre andava da Parigi a Barcellona. Di lui si attende la consegna alle autorità italiane. Gli altri sono ricercati. La Procura di Reggio Emilia contesta ai cinque parenti il sequestro di persona e l’omicidio aggravato dalla premeditazione e i futili motivi. La procuratrice Isabella Chiesi è ottimista sulle possibilità di rintracciare lo zio e l’altro cugino, ancora in Europa. Con il Pakistan, invece, non sono state attivate rogatorie. È stato verificato che quanto raccontato dal padre in un’intervista nei giorni scorsi non è vero: Abbas aveva detto a un giornalista che Saman era in Belgio e stava bene.

Le ricerche

Proseguono intanto le ricerche e da domani a Novellara si utilizzerà anche un elettromagnetometro, un sofisticato strumento utile a rintracciare corpi sepolti. Le immagini del 29 aprile - estrapolate da una videocamera di sorveglianza - mostrano tre persone, poi identificate nello zio e nei due cugini di Saman, con pale, piede di porco e un secchio. È uno degli elementi che fa pensare fosse tutto programmato da alcuni giorni. La ragazza aveva denunciato i genitori a novembre, rifiutando il progetto che avevano per lei. Era ancora minorenne ed era stata allontanata e protetta. L’11 aprile però è tornata per recuperare i documenti. Ma il 22 aprile si è rivolta ancora una volta ai carabinieri, per denunciare i genitori che non volevano darglieli. Il 5 maggio i militari sono andati per perquisire la casa, ma Saman e genitori non c'erano. Hanno parlato con lo zio e con il fratello minore, prima della loro fuga. Poi hanno contattato il fidanzato della ragazza, che ha riferito di aver avuto l’ultimo contatto con Saman alle 23.30 del 30 aprile spiegando che fosse molto preoccupata, tanto da dirgli che se non si fossero sentiti per due giorni avrebbe dovuto allertare le forze dell’ordine. I fatti successivi sono raccontati dal fratello. Saman verso mezzanotte ha tentato di fuggire e ha avuto una violenta lite con i genitori. Hanno urlato, lei li ha insultati: «Dammi i documenti», ha intimato la ragazza al padre. Lui le ha chiesto se voleva sposare qualcuno e lei ha detto che voleva solo andare via. Poi ha preso le sue cose ed è fuggita. Il padre allora ha chiamato lo zio perché la riportasse a casa, anche contro la sua volontà. Lo zio è andato e tornato, dicendo che tutto era sistemato. Elementi che quadrano, sostanzialmente, con quanto ripreso dalle telecamere. «Abbiamo fatto un lavoro fatto bene», le parole dello stesso Hasnain in una chat, considerata quasi un’ammissione. (ANSA).

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