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Che strumento è diventato il Reddito di cittadinanza?

Generalizzare è sempre sbagliato, su qualunque argomento. “La gente è stanca...”, quale gente? “I politici sono tutti ladri...”, quali politici? E via discorrendo. Lo stesso vale per un tema delicato, al centro da settimane di un rovente dibattito politico nazionale, forse la “spina” più fastidiosa attualmente per il governo dei “migliori” guidato dall’osannato (quasi da tutti) premier Mario Draghi. Non tutti i percettori del Reddito di cittadinanza sono come questi cento e più cittadini che hanno dimenticato di comunicare all’Inps un piccolo particolare: quello di aver perso i benefici del sussidio, essendo raggiunti da istanze cautelari. Generalizzando, potremmo dire che i percettori del “Reddito” sono tutti delinquenti. E ovviamente non è così.

Ma chiedersi se è stata, e se è ancora, credibile la “ratio” di questo provvedimento, è un interrogativo legittimo. Il Reddito di cittadinanza, forse, non sarà il “metadone” (come lo ha definito Giorgia Meloni), ma un “anestetico” sicuramente. Ha avuto un merito storico: non far scoppiare rivolte sociali nel momento più tragico della storia repubblicana, quando siamo stati travolti dalla pandemia e dal dilagare della crisi economica e della povertà. Ma anziché spianare la strada a prospettive di occupazione e di sviluppo socio-economico per le fasce di popolazione più fragili, si è rivelato, in moltissimi casi, un vero e proprio disincentivo al lavoro.

Ne abbiamo raccontate tante, di vicende riguardanti imprenditori, titolari di attività economiche (ricordato il caso dei lidi rimasti per tutta l’estate a corto di personale?), disperati perché non trovavano persone disposte a lavorare. Meglio un sussidio senza far nulla (o lavorando in nero...), che rimettersi nel circuito occupazionale, dove ci sono diritti sacrosanti, ma anche qualche dovere da rispettare. È lo specchio di un assistenzialismo totalmente improduttivo. Che non possiamo più permetterci.

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