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"Apnea", quegli otto vigili del fuoco eroi sulla Concordia. Una storia mai raccontata

Di quel 13 gennaio 2012, quando per un «inchino» azzardato e arrogante la nave da crociera Costa Concordia è naufragata a 500 metri dal porto dell’isola del Giglio, si ricorda ancora tutto: nessuno ha ancora dimenticato l’immagine del gigante d’acciaio accasciato e sconfitto che ha fatto il giro del mondo, il dolore e le lacrime per le 32 vittime accanto al terrore fisso negli occhi dei sopravvissuti, l’impiego straordinario di mezzi di soccorso, la generosità degli abitanti dell’isola, le responsabilità dello schianto, l’allarme dato in ritardo e l’abbandono dei naufraghi.

Ma di quella notte tragica esiste anche un’altra storia da raccontare, che in pochi conoscono: quella della squadra di 8 vigili del fuoco che con il loro comandante hanno portato in salvo centinaia di persone intrappolate, in una spasmodica lotta contro il tempo. E’ a questi eroi rimasti sconosciuti all’opinione pubblica che Virginia Piccolillo, giornalista del Corriere della Sera, e Luca Cari, responsabile della comunicazione in emergenza del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, rendono omaggio nel libro «Apnea», edito da Mondadori a 10 anni dal naufragio.

Camminando al buio sul pavimento scivoloso e inclinato di una nave con oltre 4000 persone a bordo che sembrava ormai pronta a inabissarsi (nessuno infatti poteva sapere che la Concordia si sarebbe incagliata su due speroni di roccia granitica), di fronte a uno scenario inatteso a cui hanno dovuto reagire con prontezza e spirito di iniziativa, Albi, Andre, Bartolo, Beppe, Bronco, Lallo, Massi e Trap - questi i soprannomi degli uomini che hanno compiuto l’impresa - non si sono mai fermati, dosando la paura di morire, sentendola addosso, ma senza lasciarsi sopraffare, con l’unico disperato obiettivo di aiutare quanti più passeggeri possibile rimasti prigionieri di quel mostro di lamiere.

Un salvataggio che la squadra di pompieri non ha mai in questi anni considerato eroico, ma semplicemente parte del lavoro di un vigile del fuoco ben addestrato al pericolo e all’emergenza. Ed è proprio il senso di questa «normalità», accanto all’orgoglio di aver fatto il proprio dovere, che i protagonisti hanno custodito nel cuore e nella memoria, tenendo dentro di sé, in «apnea» appunto, ogni istante vissuto nelle viscere di quella città galleggiante trasformata da paradiso del divertimento in inferno.

«Fortuna e capacità e coraggio e incoscienza insieme, condensati in un frangente della vita di otto uomini normali che realizzarono un’impresa grandiosa. Che si sono tenuti per sé. Poco clamore nelle cronache, pochi discorsi e racconti. Troppo difficile da condividere con chi non c'era», scrivono gli autori in pagine dense e di grande impatto. Impossibile non farsi coinvolgere emotivamente da un racconto vivissimo, così vero da riuscire a trasferire al lettore intatte e potenti tutte le emozioni e tutti i pensieri, il senso di abnegazione e l’adrenalina, nella ferma volontà di spendersi fino alla fine rischiando in prima persona per individuare e soccorrere tutti i sopravvissuti che non erano riusciti a mettersi in salvo dopo l’ordine di abbandonare la nave. «Oggi loro ripensano, con commozione, a quei sommersi salvati», scrive Piccolillo nella postfazione, «Ma di quella notte si portano ancora dietro l’amarezza, mai sopita, di non essere riusciti a soccorrere anche chi non ce l’ha fatta. Impossibile.

Erano già tutti morti quando loro, avvertiti in ritardo, riuscirono, precipitosamente, ad arrivare sulla nave. Ma da quel momento in poi non si contò più alcuna vittima. Loro lo sanno. Ne vanno orgogliosi. Ma non se ne vantano. Sono convinti di aver fatto solo ciò che avrebbe fatto chiunque».

Dal libro, le cui pagine raccontano in presa diretta ogni istante dell’avventuroso salvataggio, è tratto anche l’omonimo podcast in 6 puntate, prodotto da Lux Vide e nata da un’idea di Luca Bernabei. Scritta da Matteo Liuzzi e Niccolò Martin con la cura editoriale di Maria Francesca Gagliardi, la serie (che ha anche dei contenuti video, per la regia di Laszlo Barbo) è raccontata da Carlo Lucarelli e distribuita in esclusiva su Rai Play e Rai Play Sound a partire dal 13 gennaio.

Di storie, in questi dieci anni, ne abbiamo sentite tante. E in queste ultime settimane, nell’immediatezza dell’anniversario del naufragio della Costa Concordia, anche di più. In documentari, docufiction, podcast, libri sono state raccolte centinaia di testimonianze, ore e ore, pagine e pagine di racconti, di chi c'era, di chi l’ha vissuta sulla propria pelle e ne è scampato. Ma anche di chi, anche se è sopravvissuto, non è riuscito ad andare oltre quella notte, perchè nel disastro ha perso una persona cara.

Ecco il racconto dei nove vigili del fuoco del comando di Grosseto che per primi si calarono all’interno della nave che stava affondando, mentre tutti - letteralmente tutti, anche chi non avrebbe dovuto farlo - ne stavano uscendo. Otto uomini e il loro comandante che entrarono nella pancia fredda e buia di un gigante morente per impedire che portasse con sè altre vite.

Apnea è una storia di eroismo in una vicenda che ha un pesante stigma di viltà
"Qualcuno che ha lasciato centinaia di persone a bordo ed è scappato senza dare indicazioni su come soccorrerli, questo è un fatto. Ma la cosa bella è che in questa storia stranota di viltà e sbruffoneria ce n'è una sconosciuta di grande generosità. E la cosa straordinaria è che noi lo chiamiamo eroismo, ma per loro non è così: sono convinti che è quello che avrebbero fatto tutti"

Non erano solo loro nove però a prodigarsi per salvare le vite sulla Concordia
"Certo, c'erano i soccorritori sulle murate e sulle imbarcazioni intorno al relitto, ma la loro prospettiva, il loro punto di vista non era quella degli uomini all’interno che, a ogni passo fatto su pavimenti instabili e precipizi che si aprivano all’improvviso, si domandavano come avrebbero potuto vivere il resto della vita se avessero lasciato al proprio destino chi poteva essere ancora salvato"

Perchè ha scelto di raccontare proprio la loro storia?
"Perchè è inedita: non hanno mai parlato prima pur avendo vissuto quello che altri non hanno vissuto"

Cosa c'è di diverso tra la loro storia e quella delle altre decine di uomini, vigili del fuoco e non, che hanno esplorato il relitto della nave?
"Chi è arrivato nei giorni successivi non ha vissuto il pericolo di restare intrappolato nel ventre del gigante. Già il giorno dopo la nave era monitorata, c'erano percorsi e vie di fuga e se la nave si fosse mossa sarebbero stati salvati. Loro no: sono entrati pensando di fare semplicemente una verifica perchè nessuno immaginava che dentro ci fosse ancora qualcuno"

In che mondo si sono mossi?
"Un mondo in cui si era persa la verticalità e si camminava sulle pareti, tutto era buio e freddo e l’unico rumore che si sentiva era quello terrificante della nave che scivolava lungo la roccia. Un mondo capovolto, dove i corridoi erano diventati pozzi in cui l’acqua saliva rapidamente. Pozzi in cui hanno trovato persone ferite gravemente, paralizzate dal terrore al punto di non essere minimamente collaborative con chi cercava di portarle in salvo. Una situazione in cui era più facile abbandonare gli altri e salvarsi la vita, un pensiero che non ha mai nemmeno sfiorato la loro mente. Oggi dicono che non poteva essere che così, che era il loro lavoro, ma sappiamo che non tutti, quella notte, si comportarono rispettando i dettami delle proprie responsabilità"

Lei ha seguito per lavoro vicende tragiche come il terremoto in Centro Italia, il disastro di Rigopiano, l’ondata di gelo del 2012 e i roghi degli ultimi anni. Sempre ha trovato i vigili del fuoco al lavoro. Assomigliano agli uomini che ha raccontato?
"Tutti i vigili del fuoco che ho incontrato in prima linea sono così. Sono quelli che stanno lì a tirare fuori le persone dalle fiamme, dalle macerie, dall’acqua. Sono persone semplici, appassionate del loro lavoro che nonostante siano malpagate e non vengano mai premiate, continuano a dire che il loro è il mestiere più bello del modo perchè salvare una persona riempie la vita. Purtroppo ogni tanto non va bene e rimane loro addosso il dolore degli altri. Anche questa è una cosa che li rende profondi: non hanno quel cinismo che si sviluppa come forma di difesa dal dolore e dall’orrore"

Perchè non hanno parlato prima?
"Hanno salvato almeno 60-70 persone che senza il loro intervento sarebbero morte. Ma nell’anima hanno un nodo che li lega a quelli che sono morti prima che arrivassero e che potevano essere salvati se solo dalla nave avessero dato prima l’allarme. Gli echeggia sempre questo pensiero nella testa: «potevo salvare anche loro». Si fanno carico di responsabilità che proprio non hanno"

Tra le persone che hanno salvato ce n'è una che li ha colpiti in modo particolare?
"C'era una ragazza, una hostess che stava particolarmente male perchè aveva una frattura scomposta e perdeva molto sangue. Era difficilissimo portarla in salvo e si sono inventati un modo fantasioso per riuscirci. Li ha colpiti molto il coraggio di questa ragazza che, quando finalmente è stata portata fuori dalla nave, ha chiesto di fermarsi un attimo: non credeva di poter passare dalla disperazione più totale a rivedere il mare"

Cosa vorrebbero adesso?
"Il loro più grande desiderio è rivedere le persone che hanno salvato. Dopo quella notte non hanno più avuto notizie di nessuno".

 

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