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I test sierologici non possono indicare se una persona debba o meno essere vaccinata

Il risultato positivo di un test sierologico per il Sars-Cov-2 può fornire la prova di un’avvenuta infezione o vaccinazione, ma «non esiste, ad oggi, un livello di anticorpi, misurato secondo standard internazionali, che assicuri una protezione nei confronti del Sars-Cov-2 nelle sue varianti», né che possa indicarne la durata. A chiarire che i test sierologici non possono ad oggi "indicare se una persona debba o meno essere vaccinata, o se possa o meno avere accesso alla certificazione verde Covid-19», è una relazione tecnica a cura dell’Istituto Superiore di Sanità.

Le ricerche sul tema comunque continuano e, da uno studio su Nature Microbiology, emerge come la gran parte delle persone che si sono ammalate di Covid-19, specie se in forma grave, possiede anticorpi per almeno 16 mesi. Comprendere quale sia la durata della protezione acquisita dopo l’incontro con il Sars-CoV-2 è uno dei quesiti che ha appassionato la ricerca fin dall’inizio della pandemia. Sull'analisi degli anticorpi si basano i test sierologici, che secondo alcuni esperti, potrebbero diventare uno strumento per l'esenzione da futuri richiami vaccinali o per l’estensione dalla durata del Green Pass per coloro che abbiano un risultato che accerti la presenza di anticorpi nel sangue. Sull'utilizzo di questi test, l’Iss sintetizza le evidenze scientifiche disponibili e cita quanto affermato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) nel documento "The Use of antibody tests for Sars-Cov-2 in the context of Digital Green certification». Ovvero, «anche se il riscontro di anticorpi suggerisce la presenza di una risposta immunitaria, non è noto se tali livelli anticorpali siano in grado di fornire una protezione sufficiente e per quanto tempo sia duratura». Inoltre «non è ancora noto se gli anticorpi rilevati dai test commerciali in uso possono prevenire l’infezione con le nuove varianti».

Infine, va considerato che in commercio esiste «una considerevole varietà di test sierologici, tale da rendere estremamente difficile un confronto dei risultati». Studiare la durata degli anticorpi è stato anche l’obiettivo di una analisi della Southern University of Science and Technology di Shenzhen, in Cina. «È stato visto che i coronavirus umani stagionali inducono risposte anticorpali di breve durata e la reinfezione con lo stesso coronavirus si verifica frequentemente nei 12 mesi successivi. Tuttavia, i due coronavirus che causano malattie gravi (quelli della Sars e della Mers) inducono risposte anticorpali più forti e durano fino a 3 anni», spiegano i ricercatori. Nel caso di Sars-CoV-2 ancora non esistono dati definitivi.

La nuova ricerca ha seguito 214 pazienti per quasi 16 mesi. Studiando l’andamento degli anticorpi neutralizzanti (soprattutto IgG) si è visto che la risposta immunitaria raggiunge un picco 3 mesi dopo l’infezione; poi comincia un calo lento seguito da una stabilizzazione. Non tutti i pazienti presentavano però la stessa risposta immunitaria: dopo un anno il 14% di quanti avevano avuto un’infezione lieve e il 50% degli asintomatici non avevano livelli rilevabili di anticorpi. Lo studio ha mostrato inoltre un calo dell’efficacia contro le varianti Beta, Delta e Mu, mentre non sono disponibili dati su Omicron. Intanto, un gruppo di ricercatori italiani ha messo a punto una nuova tecnologia per misurare il livello di anticorpi neutralizzanti contro il Sars-Cov-2. Descritta sulla rivista Communications Materials, è rapida, efficace ed economica e si inserisce nell’ambito dei cosiddetti transistor elettrochimici organici, particolari biosensori che, attraverso misure elettriche, permettono di analizzare segnali biologici. «Abbiamo una forte necessità di strumenti in grado di valutare in modo rapido ed efficace la presenza di anticorpi, perché si tratta di informazioni rilevanti nella pratica clinica», afferma il primo autore dello studio, Francesco Decataldo, ricercatore al dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna.

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