Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Moro e Impastato uccisi 44 anni fa, vittime di terrorismo e mafia

Ricorre oggi il 44simo anniversario dell' uccisione di Aldo Moro e di Peppino Impastato. Per anni sono stati i simboli di due Italie che cercavano di lottare, negli «Anni di Piombo», contro differenti mali: la mafia e il terrorismo. 

Moro ucciso 55 giorni dopo il sequestro

Il 9 maggio 1978 il cadavere di Moro fu ritrovato adagiato nel bagagliaio della R4 rossa usata dai brigatisti per l'ultimo viaggio del presidente. La macchina era parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra Piazza del Gesù, dove si trovava la sede della Democrazia, e via delle Botteghe Oscure, dov'era il quartier generale del Pci: i due partiti del compromesso storico che le Br avevano deciso di combattere imbracciando il mitra.

Aveva il vestito grigio a righe e la cravatta che indossava il giorno del suo rapimento in via Fani, dove i cinque uomini della sua scorta morirono crivellati dai colpi delle mitragliette Skorpion.

Moro non voleva soccombere, e non voleva che soccombesse la sua visione politica di sbloccare la democrazia italiana favorendo un'evoluzione socialdemocratica del Pci.

Le sue 'lettere dal carcere' (alla moglie Noretta, a Cossiga, a Zaccagnini, al Papa) chiedevano di trattare con i suoi sequestratori. Ma il fronte della fermezza (comunisti e democristiani) non poteva accettare che Moro parlasse all'opinione pubblica contraddicendo la linea dei partiti di governo, quel governo di unità nazionale che lui stesso aveva progettato e fatto nascere. E dunque durante la sua disperata battaglia per la vita, il presidente sequestrato dai brigatisti conobbe l'onta e il disonore di essere presentato dai suoi compagni di partito come una persona debole, fiaccato dai suoi carcerieri, che anteponeva la sua vita al bene del Paese.

Volevano farlo passare come un suicidio

Peppino Impastato, militante di Democrazia proletaria, giornalista, fondatore di Radio aut, ucciso dalla mafia a Cinisi (Pa) il 9 maggio '78 quando aveva 30 anni.

Il suo corpo venne martoriato da una carica di tritolo collocata lungo i binari della ferrovia di Cinisi, che congiunge Palermo a Trapani. Con il suo cadavere, però, venne inscenato un attentato, in modo tale da fare apparire Peppino Impastato come un attentatore suicida, ma ciò non bastò a compromettere la reputazione e l'immagine di Impastato, che infatti pochi giorni dopo, in occasione delle votazioni, venne simbolicamente eletto al Consiglio comunale.
Il delitto, avvenuto in piena notte, passò quasi inosservato poiché proprio in quelle stesse ore veniva ritrovato il corpo senza vita del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.
Dopo la morte vi furono vari passaggi nella vicenda giudiziaria che portò infine all’individuazione dei colpevoli. Nel maggio del 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del giudice Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva concepito e avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emise una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, sostituto di Chinnici dopo la sua morte, in cui si riconobbe la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.

Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo inviò una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 lo stesso tribunale decise l'archiviazione del caso Impastato, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi.
Nel 1994 la madre Felicia, che mostrò sempre ostilità nei confronti delle attività del marito, e il fratello Giovanni, insieme al Centro di documentazione di Palermo dedicato a Peppino Impastato, supportati da una petizione popolare, chiesero la riapertura del caso, sostenendo l’esigenza che venisse interrogato il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla cosca mafiosa di Cinisi.
Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, che indicò in Gaetano Badalamenti il mandante dell'omicidio, l'inchiesta venne formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 venne emesso un ordine di cattura per Gaetano Badalamenti, incriminato come mandante del delitto.
I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l'Ordine dei giornalisti si costituirono parte civile.

Caricamento commenti

Commenta la notizia