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'Ndrangheta, bar e società in Riviera per riciclare denaro

«Certamente questa indagine conferma che in territori come quello dell’Emilia-Romagna le mafie esistono, le mafie operano e lo fanno sotto traccia, lo fanno senza chiasso, senza rumore. Le indagini hanno anche consentito di fotografare un fenomeno particolare, in sostanza questi soggetti 'ndranghetisti operavano suddivisi in piccoli gruppi, quelle che possiamo definire piccole 'cellule', guidate da dei boss che assumevano la funzione di manager. Manager assetati di investimenti». Così il comandante della Guardia di Finanza dell’Emilia-Romagna, generale Ivano Maccani, ha descritto i contorni dell’operazione 'Radici', che questa mattina, su richiesta del pm della Dda Marco Forte, ha consentito agli investigatori di eseguire 23 misure cautelari - 4 arresti in carcere, 3 ai domiciliari e 16 obblighi di dimora -, emesse dal Gip Domenico Truppa, per i reati di associazione a delinquere, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura, lesioni personali e minacce. Gli indagati sono in totale 34.
Tutto ruota attorno ad una serie di investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena pandemia, soprattutto nelle province di Ravenna e Forlì Cesena, che hanno riguardato nel tempo negozi, bar e società nel campo dell’edilizia, della ristorazione e dell’industria dolciaria. I finanzieri, intercettando oltre 60 utenze telefoniche e analizzando circa 100 conto correnti, hanno ricostruito un «vorticoso giro» di aperture e chiusure di società che, formalmente interessate a prestanome, venivano utilizzate come mezzo per riciclare il denaro che arrivava dalla 'casa madre' in Calabria. Questo era possibile grazie all’utilizzo di fatture false, spesso preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di distrazioni patrimoniali. Le cellule che agivano in Emilia-Romagna erano autonome, ma considerate vicine alle 'ndrine dei 'Piromalli' di Gioia Tauro e dei 'Mancuso' di Limbadi. Alcuni degli indagati sono responsabili di diversi episodi di intimidazione e minacce, e in alcuni casi di violenze ai danni degli imprenditori che si sono rifiutati, o hanno tentato di farlo, di 'obbedire' alle richieste delle cellule. Nell’inchiesta sono finiti anche un commercialista e un’avvocato, entrambi d’origini calabresi, che operano su Modena, entrambi interdetti per un’anno dall’esercizio della professione, che per gli investigatori agivano come 'consiglieri' dei gruppi.

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