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Anche il Reddito di cittadinanza per la 'ndrangheta a Rho. E in Lombardia una donna tra i capi

Tutte le inquietanti sfaccettature della 'ndrangheta, ormai presente al Nord come al Sud: dagli arcaici metodi intimidatori, come «teste di maiale» lasciate fuori dalle porte, fino al «controllo del territorio» col "pizzo", ai sempreverdi traffici di cocaina e armi e alla più moderna «vocazione imprenditoriale».

C'è tutto questo nella nuova inchiesta della Squadra mobile e della Dda di Milano contro la 'ndrangheta che stava provando a ricostituire una "locale" a Rho, alle porte del capoluogo lombardo. E con un elemento nuovo: per la prima volta in Lombardia c'era una donna tra i capi. E in più una beffa allo Stato, perché i presunti boss hanno pure incassato il reddito di cittadinanza. Come emerge dalle oltre 1300 pagine dell’ordinanza con 49 misure cautelari, firmata dal gip Stefania Donadeo su richiesta del pm Alessandra Cerreti, per rimettere in piedi il suo clan a Rho, terremotato come le altre "locali" dallo storico maxi blitz "Infinito" del 2010, Gaetano Bandiera, 74 anni, già condannato ad oltre 13 anni, sarebbe riuscito ad ottenere il differimento pena e ad uscire dal carcere simulando «difficoltà motorie». Girava in sedia a rotelle, ma non ne aveva bisogno se non per indurre «in errore la commissione medica».

Con l’operazione della Polizia il boss, che ha «la dote superiore della Santa» e manteneva i rapporti con gli altri vertici della 'ndrangheta in Lombardia, è tornato in carcere. E con lui il figlio Cristian e, tra gli altri, Caterina Giancotti, 45 anni, ritenuta suo "braccio destro". E anche «più spietata degli uomini», come ha chiarito il procuratore aggiunto Alessandra Dolci, parlando delle figure femminili (5 le arrestate) di quest’inchiesta, in cui le accuse vanno dall’associazione mafiosa al traffico di droga, estorsioni, minacce, violenza privata, incendio, detenzione e porto illegale di armi. E’ la «prima volta», ha spiegato Dolci, «che in Lombardia verifichiamo il ruolo operativo e organizzativo di un donna" nelle cosche.

Tra ottobre e novembre 2020, quando Cristian Bandiera era detenuto a Bollate, Giancotti l’avrebbe sostituito in particolare nel «recupero crediti» e nel business della cocaina. Usando frasi intimidatorie come queste: «Vuoi che divento cattiva ed io divento cattiva"; «Non me ne frega un c.., se no ti taglia la testa"; «Le regole le faccio uguali per tutti io». Espressioni in linea con quelle usate dal boss 74enne: «La legge è tornata, la 'ndrangheta è tornata a Rho». E con quelle delle altre violente minacce presenti a grappoli negli atti, come: «Io ti mangio il fegato». Tra le intercettazioni anche il riferimento ad un messaggio «la prossima testa è di vostro figlio» da infilare in una «testa di agnello».

Nel frattempo, malgrado avessero a disposizione una serie di attività, come bar e discoteche, per riciclare denaro, il "nucleo familiare Bandiera», su domanda di Cristian, «ha richiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza» nell’agosto 2020. Reddito che è andato ad un altro dei presunti sodali, Alessandro Furno, così come alla stessa Giancotti. Dai Bandiera, padre e figlio, intanto, come ricostruito dal procuratore Marcello Viola, andava «la gente comune» per risolvere pure "beghe di condominio, banali liti». Esponenti di una mafia per nulla «silente» e con una forte «ala militare». E anche il blitz odierno, ha spiegato il prefetto Francesco Messina, direttore centrale Anticrimine della Polizia, dimostra coma la «detenzione carceraria non riesca a recidere il legame tra affiliato e struttura mafiosa di appartenenza»

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