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Reddito di cittadinanza: stop nel 2024. Ma c'è l'anno "cuscinetto". Per le pensioni ecco quota 103

La data di interruzione sarebbe quindi, a quanto si apprende, quella del 31 dicembre 2023.

Una platea di 660 mila potenzialmente occupabili. E’ su questo numero che si gioca il futuro del reddito di cittadinanza. La maggioranza è inequivocabilmente a favore di una revisione dello strumento di lotta alla povertà, misura simbolo del Movimento 5 Stelle, ma su come modificarlo le visioni non sono state univoche, tanto che fino all’ultimo il tema è stato oggetto di discussione tra punti di vista in alcuni casi opposti. Al momento, il sostegno sarebbe salvo anche a favore di chi rientra nella categoria dei destinatari in grado di lavorare, ma solo per il periodo limitato di 12 mesi e con dei paletti. Dopodichè, a partire da gennaio del 2024, ognuno dovrà essere in grado di camminare sulle proprie gambe. La soluzione ponte sarebbe stata trovata dopo un serrato confronto. Nel tentativo di reperire più risorse possibili da destinare alle misure clou della manovra, dal taglio del cuneo alle pensioni alla flat tax, il reddito è entrato tre le possibili fonti di coperture e come tale si è tentato di spremerne il più possibile. Cancellarlo subito, dal primo gennaio 2023, per tutti gli abili al lavoro avrebbe permesso di recuperare un discreto tesoretto da 1,8 miliardi, ma avrebbe di fatto abbandonato al loro destino non solo quei 660 mila ma anche le famiglie che spesso ne dipendono. Una proposta fin troppo tranchant che alla fine non è piaciuta alla maggioranza degli interlocutori. Come spiegano alcune fonti, è difficile immaginare infatti che quelli che nelle tabelle dell’Anpal aggiornate a giugno scorso sono 'soggetti alla sottoscrizione del patto per il lavorò, possano effettivamente immediatamente in grado di entrare nel mercato di domanda e offerta. Secondo le statistiche, il 73% di loro non avrebbe mai lavorato, non avrebbe quindi alle spalle alcuna esperienza e avrebbe anche un basso tasso di scolarità. Da qui la proposta 'cuscinettò avanzata dalla ministra del Lavoro Marina Calderone, alla fine condivisa anche dal resto della maggioranza, pur dopo qualche attrito con chi puntava a recuperare il maggior incasso possibile. Gli occupabili potranno godere del beneficio fino al 31 dicembre del 2023. Avranno un anno per formarsi, in appositi corsi, per essere accompagnati nella ricerca di un posto di lavoro, poi dovranno dire addio al reddito. Un addio che sarà anticipato in caso il beneficiario non partecipasse attivamente alla formazione o rifiutasse un’eventuale offerta di lavoro.(ANSA).

M5S, Conte: "Disposti a tutto per il reddito di cittadinanza, anche a scendere in piazza"

«Noi siamo disposti a tutto per difendere il reddito di cittadinanza. Daremo battaglia nelle sedi istituzionali e nelle piazze se il governo andrà avanti con questo indegno proposito di smantellare il reddito di cittadinanza» ha detto, intanto, il leader M5s, Giuseppe Conte, al convegno «Cantiere delle idee». «Questo - ha aggiunto - non suoni come minaccia, ma lo dico con fermezza»

Pensioni: ecco quota 103

Quota 103 con almeno 62 anni di età e 41 di contributi e una stretta sul recupero dell’inflazione per le pensioni più alte: sono le principali misure in campo previdenziale sul tavolo del Cdm della manovra, che prevedono anche la conferma di Opzione donna e dell’Ape sociale. Per la flessibilità in uscita dovrebbe essere stanziato nel complesso circa un miliardo mentre i risparmi della stretta sulla perequazione delle pensioni più alte dipenderà dalle soluzioni scelte. Potrebbe valere circa 1,5 miliardi se si riducesse il recupero dell’inflazione dal 75% al 50% per le pensioni superiori a cinque volte il minimo, cioè a 2.621 euro lordi al mese. Ma potrebbe anche superare i tre miliardi se si tagliasse al 50% anche la perequazione delle pensioni tra le quattro e le cinque volte il minimo (tra i 2.097 euro e i 2.621). Questo se si decidesse il taglio netto sull'intero assegno. Ma non sono escluse anche soluzioni meno tranchant. I risparmi sarebbero minori se il taglio si facesse solo per la parte di pensione che eccede i 2.097 euro, in pratica applicando una franchigia per la parte di pensione fino a quattro volte il minimo: si risparmierebbe così 1,45 miliardi.

Una ulteriore limatura ci sarebbe - a 1,41 miliardi - con la stretta che metta una franchigia sull'assegno fino a cinque volte il minimo. La discussione sulla misura sarà aperta fino alla fine dato che nel caso della soglia più alta sarebbe salvaguardato dal taglio oltre l’84% dei pensionati mentre nel secondo caso solo il 72%. In pratica quindi nel caso della misura limitata ai redditi da pensione superiori ai 2.097 euro al mese resteranno comunque tutelati quasi tre pensionati su quattro ma quelli che saranno colpiti dalla misura avranno una penalizzazione consistente a fronte di una perequazione calcolata dal Mef per il 2023 che al 100% vale il 7,3%. In caso di taglio dal 90% al 50% del recupero dell’inflazione per le pensioni tra le quattro e le cinque volte il minimo un assegno da 2.400 euro lordi avrebbe un recupero di circa 87 euro invece che di 157 euro con una perdita di 70 euro al mese. La perdita si ridurrebbe a 4,24 euro se si utilizzasse la franchigia. Per un reddito da pensione da 5mila euro (che ora ha una perequazione al 75%) il recupero sarebbe di 182 euro invece che di 273 con una perdita di circa 90 euro (con il taglio su tutta la pensione). Sul fronte della flessibilità in uscita la nuova legge di Bilancio dovrebbe prevedere l’introduzione di Quota 103 con almeno 62 anni di età e 41 di contributi alla quale dovrebbe affiancarsi una finestra mobile di tre mesi per il lavoro privato e di 6 mesi per i dipendenti pubblici così come è stato previsto per Quota 100.

Le risorse da stanziare per il 2023 dovrebbero essere intorno a 700 milioni per una platea totale di circa 47mila persone. Ma è probabile che le uscite reali si fermino alla metà della platea - meno di 25mila persone quindi - soprattutto se si deciderà per il divieto di cumulo con il lavoro come è stato previsto per Quota 100. In quel caso a fronte di una platea di un milione di persone con i requisiti nel triennio 2019-2021 ne sono uscite circa 380mila. Il divieto di cumulo con il lavoro dovrebbe essere però «ammorbidito» con la possibilità di avere redditi dal lavoro annui per importi fino a 5mila euro (senza la definizione di lavoro occasionale). La cifra da spendere per questa Quota 103 che sostituirebbe la Quota 102 che si esaurisce a fine 2022 raddoppierebbe nel 2024 con circa 1,4 miliardi di spesa dato che con la finestra mobile le persone riceveranno i primi assegni solo da aprile 2023 (da luglio i pubblici). Per alcuni il pensionamento arriverà anche più avanti nel caso i requisiti si perfezionino nel corso dell’anno. Le coorti che saranno interessate alla misura sono solo quelle del 1960 e 1961 (quindi 62 e 63 anni) perché quelle più anziane sono già uscite con quota 100 (il 1959 con 62 anni nel 2021) e le più giovani saranno ancora bloccate. Chi infatti avrà nel 2023 64 anni di età e 41 di contributi ne aveva già 62 di età e 39 di contributi nel 2021 e aveva quindi i requisiti per Quota 100.

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