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Minacce a Liliana Segre: chef Rubio tra i 20 denunciati. Ci sono pure 2 medici e un'infermiera

Venti persone, tra cui lo chef Rubio, sono state identificate e denunciate dai carabinieri di Milano per diffamazione aggravata dall’odio razziale per i post e commenti contro la senatrice a vita Liliana Segre.

Liliana Segre

Venti persone, tra cui lo chef Rubio, sono state identificate e denunciate dai carabinieri di Milano per diffamazione aggravata dall’odio razziale per i post e commenti contro la senatrice a vita Liliana Segre.
Partendo dalla denuncia depositata lo scorso 6 dicembre dalla parlamentare, i militari della sezione Indagini telematiche del nucleo investigativo dell’Arma, coordinati dal pm Nicola Rossato, sono riusciti a risalire ai titolari dei profili su diversi social media che tra ottobre e dicembre 2022 hanno pubblicato post e commenti antisemiti.

Chi sono le persone denunciate

Età, sesso, professioni e provenienze diverse. Solo l’odio comune per la persona e le posizione pubbliche di Liliana Segre accumuna i 17 uomini e le tre donne, di età compresa tra i 21 e 74 anni, denunciati alla procura di Milano dai carabinieri della sezione Indagini telematiche del nucleo investigativo dell’Arma, diretti dal colonnello Antonio Coppola e guidati dal capitano Gianluca Bellotti, per i loro messaggi di carattere antisemita contro la senatrice vita.

Nessuno dei venti denunciati - riferiscono fonti investigative - appartiene a gruppi riconducibili all’area di estrema destra. Solo uno di loro, un quarantasettenne di Pietrasanta (Lucca) ha alle spalle un precedente nel 2014 per manifestazione a sostegno del disciolto partito fascista. Tra le professioni degli odiatori social spiccano due medici, di cui uno oncologo, e un’infermiera.

I post e commenti sono stati pubblicati tra l’ottobre e il dicembre 2022 su diversi social media individuati dalla famiglia di Segre e sono stati poi riportati nella denuncia presentata lo scorso 6 dicembre.
Con un’intensa attività gli investigatori hanno incrociato le informazioni raccolte con un monitoraggio della rete ai dati anagrafici in possesso degli internet provider e nelle banche dati delle forze dell’ordine. Così sono risaliti ai titolari dei profili social, di cui alcuni anonimi.

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