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Decreto Ponte, stasera la votazione al Senato. Il ministro Salvini attacca l'opposizione

Con l’intervento del relatore messinese Nino Germanà della Lega, è cominciata al Senato la discussione del decreto sul Ponte sullo Stretto. In aula anche il ministro delle Infrastrutture e leader della Lega, Matteo Salvini. Il decreto, approvato alla Camera lo scorso 16 maggio, va convertito in legge entro il 30 maggio. Il voto finale è atteso in serata. Polemiche in aula quando il ministro Salvini ha accusato la minoranza di aver offeso il presidente della Repubblica. «La sinistra ci voleva convincere che non avremmo potuto e dovuto procedere alla discussione di questo decreto - ha detto Salvini - Vi ricordo che non avete mancato di rispetto a me, il decreto è stato emanato dal presidente della Repubblica, Mattarella. Quindi per dubbi e rilievi rivolgersi al Colle che ha tutti gli elementi di garanzia e superiorità e che può decidere cosa si può fare e cosa no».

«A chi ci dice che facciamo il ponte quando manca tutto il resto, dico che noi ragioniamo di insieme: facciamo il ponte che dà un senso a tutto il resto, perché se sto spendendo 11 miliardi per arrivare in treno più velocemente da Palermo a Messina e altri 11 miliardi per arrivare più velocemente da Salerno a Reggio Calabria e poi mi fermo, smonto il treno, lo metto sul traghetto, inquino, arrivo dall’altra parte, rimonto il treno e riparto e perdo due ore, non ha senso quello che stiamo facendo». L’ha detto il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini intervenendo in Aula sul decreto sul ponte sullo Stretto. Poi riferendosi agli investimenti, citati poco prima, dei 28 miliardi di investimenti infrastrutturali messi in cantiere o che saranno cantierati in Sicilia e altrettanti in Calabria, ha aggiunto: «Senza tutti questi 28 più 28 miliardi, è vero, il ponte da solo non serviva. Confermo. L’unicum lì in mezzo, senza strade, metropolitane e ferrovie non serviva. Ma finalmente si muove tutto il resto, perché fare tutto il resto per arrivare velocemente e poi fermarsi a Villa San Giovanni o a Messina non ha senso»

La risposta della minoranza

«Il ministro Salvini in sede di replica sul decreto Ponte di Messina, al termine della discussione generale, ha esordito compiendo un atto di rara scorrettezza, utilizzando il nome del Capo dello Stato per dileggiare le opposizioni che hanno avanzato dubbi di costituzionalità sul provvedimento. Il ministro ha usato contro le opposizioni l’incredibile argomento che avendo il Presidente della Repubblica firmato il decreto, quelle obiezioni delle opposizioni erano un attacco al Quirinale». A rilevarlo è il senatore Pd Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama. «Parole doppiamente gravi: in primo luogo - aggiunge - perché, come sanno anche i bambini dell’asilo, il fatto che una legge sia stata promulgata o un decreto legge sia stato firmato dal Presidente della Repubblica non significa che quell'atto normativo non possa essere portato all’attenzione della Corte Costituzionale e da questa dichiarato parzialmente o integralmente illegittimo. Se le cose stessero come dice Salvini, la Consulta non avrebbe senso di esistere come organo di controllo di costituzionalità delle leggi».
«In secondo luogo è grave, e secondo me non legittimo, farsi paravento del Capo dello Stato nelle aule parlamentari, citandolo impropriamente a corredo di esternazioni faziose. Questo atteggiamento - rimarca - merita di essere fermamente stigmatizzato».

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