Sono tantissimi i modi in cui ogni anno ognuno intraprende la propria sfida per arrivare fino a Capo Nord, ma il modo in cui l’ha compiuta Massimo Zaffari, classe 1973, padovano residente da 27 anni tra Laives e Bronzolo (BZ), Maresciallo dei Carabinieri di stanza al 7° Reggimento “Trentino Alto Adige”, ha tutti i tratti di una prova d’altri tempi, difficile da inquadrare: un gesto che ha il sapore dell’avventura, a metà strada tra l’impresa e la goliardia.
Un viaggio cicloturistico con tenda e sacco a pelo, su una “bici” di 21 kg, senza marce, senza ammortizzazioni, quasi senza freni (tanto che è necessario appiedare per certe discese) e con una resistenza aerodinamica doppia rispetto a una bicicletta normale.
"Anche se mi sono allenato per 5 anni tra il ghiaccio e le nevi delle Dolomiti e questo è stato il mio 4° tentativo (inverno e primavera con giri massacranti), devo dire che non sono mai partito con l’idea di realizzare un’impresa atletica.
Per me lo sport non è vincere gare - spiega - ma cavalcare emozioni, inseguire sogni, vivere magie, magari dentro un grande Viaggio. Certo, volevo anche mettere alla prova i miei limiti fisici, ma quello che volevo veramente era riscoprire quel desiderio di restare stupito da me stesso. Per questo, mi sembrava che l’uso di un mezzo bellissimo e originale fosse una buona garanzia; mi sembrava che un mezzo tanto assurdo quanto affascinante fosse degno di una delle mete più belle d’Europa. E così a fine febbraio sono partito col mio velocipede, “La Penny”, per unire i due estremi sud e nord di questo continente, nella mia personale “Europe: coast to coast”.
Così non solo ho visto paesaggi e città di una bellezza mozzafiato, ma grazie alle proprietà magnetiche e ipnotiche della mia Penny, ho potuto anche incontrare tante persone e capire se, e come, cambiano le caratteristiche degli europei (peraltro meno di quello che mi aspettavo). Sono proprio le persone che fanno la differenza tra un grande viaggio e il semplice itinerario. Per arrivare a questo, bisognava entrare nelle case delle persone, per una colazione, uno spuntino, o addirittura una notte intera. A tavola si possono capire tante cose di una cultura diversa dalla tua. Ho fatto di tutto per vivere un viaggio incentrato sull’incontro di nuove persone. E il successo mi è stato servito su un piatto d’argento nel momento in cui, un mese prima della partenza, ho visto volatilizzarsi il mio gruzzoletto di 5000 curo, accumulato in anni. E così sono partito con 16,47 curo, una somma talmente ridicola che mi ha obbligato a cercare il contatto umano per ricevere aiuto e ospitalità.
La Sicilia e il Sud dell’Italia sono stati una buona palestra per imparare a trattare (ospitalità per amicizia). Gli alloggi della Calabria per esempio sono merito di Giuseppe Contartese e le rotture meccaniche risolte anche da alcuni calabresi incontrati sulla strada. Ho dormito a casa di perfetti sconosciuti che mi hanno accolto come uno di famiglia, sia in Italia, sia all’estero.
Il caso più incredibile è quello di una famiglia in Norvegia che dopo 30 secondi di conversazione, mi hanno lasciato le chiavi di casa, scusandosi che non potevano stare con me perché erano in partenza per le vacanze.
Sono decine le persone che mi hanno aiutato, e tanti di loro hanno poi ricevuto una mia cartolina di ringraziamento. Ma incredibile è il numero di persone, credo una decina che ho incontrato 2-3 anche 4 volte durante il viaggio, anche a distanza di 1 mese dal primo incontro. C’era chi mi conosceva per sentito dire: ero noto come “Massimo il Siciliano”. Ho viaggiato con un’attitudine quanto più divertita e ottimista possibile, nonostante la mia totale imperizia davanti alle varie rotture meccaniche: 8 raggi e 4 cuscinetti, la cui sostituzione è stata possibile grazie alle persone incontrate sulla strada (come quella volta miracolosa che con i cuscinetti completamente andati, ho incontrato in una cittadina deserta della Sassonia l’unico costruttore di velocipedi di tutta la Germania!!).
Ottimista anche dopo il mio incidente da caduta a Viterbo (che mi ha bloccato per 2 settimane) e che mi ha portato in seguito una strisciante ansia per via degli interminabili acciacchi alla gamba destra, che però mi hanno portato a incontrare un totale di 20 fisioterapisti, 2 olistici, 2 massaggiatori e 1 santone. Quest’ultimo, in un campeggio delle Lofoten, mi ha praticato un massaggio alla schiena, mentre ero steso su un tavolo da picnic proprio quando ha iniziato a piovere. Sono arrivato a improvvisare anche l’agopuntura cinese (mai praticata prima), sulla base di una videochiamata a distanza: dopotutto ero nell’estremo nord della Svezia, in mezzo al nulla, senza nessuno che potesse darmi un’occhiata, e non avrei potuto neanche prendere un treno per ritirarmi. Quindi dovevo rischiare il tutto per tutto.
E comunque mi dicevo sempre: io lassù ci arriverò a qualunque costo, anche con le ruote quadrate! Ho applicato anche un bel po’ di improvvisazione, come per esempio l’itinerario che, in linea col mio spirito pioneristico, ho cambiato più volte (come quella volta che ho aggiunto 400 km e 6000 mt di dislivello, deviando dalla Svezia verso le magnifiche isole norvegesi Lofoten e Senja, rischiando però la disfatta visto che lì la settimana prima c’erano venti a 55 km/h); o come il piano di rientro, che non c’è mai stato: infatti ho sempre pensato all’impresa come una specie di Suicide Mission, in cui avrei dovuto abbandonare la Penny sotto il globo di Capo Nord; tutto ciò perché non esisteva un piano di recupero del velocipede, e speravo in un ritorno in autostop su un camper di italiani. Ma anche un bel po’ di strategia, come quando, obbligato da un piccolo incidente alla schiena, ho dovuto abbandonare i vestiti invernali negli ultimi 1000 km prima di Capo Nord, per alleggerirmi: anche qua ho dovuto scegliere tra la comodità del calduccio e l’impresa. Ma per fortuna, per temprarmi e resistere al freddo, mi ero preparato tanto, anche con immersioni invernali sotto la superficie ghiacciata dei Laghi di Bolzano. Da Viterbo a Berlino (1500 km) quasi tutti in controvento, con tanti giorni di pioggia.
Infatti se c’è una cosa che tutti noi ciclisti odiamo è il controvento: e così ero sempre incollato alle previsioni del tempo per decidere orario di partenza. Anche di notte, da solo, perché a mezzogiorno sarebbe arrivato l’immancabile controvento. E allora strategicamente mi sono trasformato da ciclista in navigatore, in modo da sfruttare o evitare i venti, e stancarmi il meno possibile (ripeto che questa bici non ha le marce).
Ho combattuto contro la mia ancestrale paura di animali come lupi, orsi, alci e persino i ghiottoni (ghiotti di cosa?, mi son chiesto per tutti i 1500 km della Svezia). Tra questi, per fortuna, ho incontrato solo 2 imponenti alci; ma anche renne, castori, volpi, aquile e addirittura 2 balene. Come deterrente avevo lo spray al peperoncino, ma anche dei fiocchi d’avena, ma anche tante canzoni da cantare da solo, possibilmente in più tonalità, in modo da sembrare in tanti. Ma la soddisfazione di aver realizzato un sogno che avevo fin da quando ero un bambino che fissava carte geografiche appese al muro, va di pari passo con il ricordo di tutte quelle persone piene di sentimenti ed emozioni che ancora mi porto nel cuore. Con il racconto della mia avventura, spero tanto di essere riuscito a ispirare qualcuno a osare, a uscire dalla routine, a mettersi in gioco per provare a superare i propri limiti. La cosa più importante è continuare a rimanere stupiti di sé stessi. Credo che la meraviglia - conclude - sia la migliore arma contro la depressione"
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