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Il buco nero più antico mai visto ha più di 13 miliardi di anni

Ha più di 13 miliardi di anni il buco nero più antico mai osservato finora: scovato grazie al telescopio spaziale James Webb, di Nasa, Agenzia Spaziale Europea e agenzia spaziale canadese Csa, risale a soli 400 milioni di anni dopo il Big Bang.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, arriva da un gruppo internazionale di ricercatori guidati dall’italiano Roberto Maiolino dell’Università britannica di Cambridge, del quale fanno parte anche altri italiani che lavorano all’estero e a cui ha contribuito anche la Scuola Normale Superiore di Pisa. L’oggetto osservato è sorprendentemente massiccio per l'universo primordiale, con dimensioni che arrivano a qualche milione di volte la massa del nostro Sole, e mette dunque in discussione le attuali teorie su come si formano e crescono i buchi neri.

Gli astronomi, infatti, ritenevano che i buchi neri supermassicci trovati al centro di galassie come la Via Lattea fossero cresciuti fino alle dimensioni attuali nel corso di miliardi di anni. Ma l’universo non aveva ancora nemmeno 1 miliardo di anni all’epoca nella quale questo buco nero era già completamente formato. I ricercatori sperano ora di utilizzare le future osservazioni del Jwst per cercare piccoli 'semì di buchi neri, che potrebbero fare luce su questo mistero.

Nuova foto del buco nero, conferma la teoria della relatività

C'è una nuova foto di M87*, il primo buco nero a essere stato immortalato. L’ha ottenuta la stessa collaborazione scientifica internazionale Event Horizon Telescope, alla quale si è ora aggiunto il Greenland Telescope, e la nuova immagine presenta solo una lieve variazione nella luminosità: una stabilità che costituisce una conferma della teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein.

Il risultato è pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics e della collaborazione Eht che l’ha ottenuto fanno parte anche Istituto Nazionale di Astrofisica, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e le università di Cagliari e Federico II di Napoli.

La nuova immagine è il risultato delle osservazioni fatte nell’aprile 2018, ossia a un anno di distanza rispetto a quelle condotte nell’aprile 2017 e pubblicate nel 2019, con la prima foto di un buco nero. Gli strumenti aggiornati, osservano i ricercatori italiani in una nota congiunta, «ci offrono una visione della sorgente indipendente dalle prime osservazioni del 2017».

Distante 55 anni luce dalla Terra, il buco nero M87* è il cuore della galassia gigante Messier 87 e la sua nuova immagine mostra un anello luminoso delle stesse dimensioni di quello osservato nel 2017, che circonda una profonda depressione centrale, la cosiddetta 'ombra del buco nerò prevista dalla teoria della relatività generale; l’unica differenza è nello spostamento del picco di luminosità dell’anello, in linea con le attuali teorie sulla variabilità del materiale turbolento intorno ai buchi neri.

«La conferma dell’anello in una serie di dati completamente nuova è un’enorme pietra miliare per la nostra collaborazione e una forte indicazione che stiamo osservando l’ombra di un buco nero e il materiale che orbita intorno a esso», osserva il coordinatore della ricerca Keiichi Asada, dell’Academia Sinica Institute for Astronomy and Astrophysics di Taiwan. Oltre al Greenland Telescope, al coro di strumenti della collaborazione Eht si è aggiunto il Large Millimeter Telescope, un grande telescopio che si trova in Messico, e tutti gli strumenti sono stati aggiornati in modo da essere attivi in quattro bande di frequenza, rispetto alle due del 2017.

"Abbiamo utilizzato diversi algoritmi di imaging e tecniche di modellizzazione per ottenere questa nuova ricostruzione indipendente di M87*», rileva Rocco Lico, dell’Inaf, affiliato all’Instituto de Astrofísica de Andalucía e che nella collaborazione Eht coordina il gruppo di lavoro sui nuclei galattici attivi. «Questo risultato rappresenta il primo sforzo per esplorare i molti anni di dati aggiuntivi che abbiamo raccolto,» dice Mariafelicia De Laurentis, deputy project scientist della collaborazione Eht, docente all’Università Federico II e ricercatrice dell’Infn. «Oltre al 2017 e al 2018, l’Eht - prosegue - ha condotto osservazioni di successo nel 2021 e nel 2022 e ha in programma osservazioni nella prima metà del 2024.

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