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Giulio Giaccio sciolto nell'acido dalla camorra, ma per sbaglio: “Cercavano un certo Salvatore”

L’omicidio del 26enne Giulio Giaccio, è stato spiegato nel corso della conferenza stampa in procura, risale a quasi 24 anni fa. Il giovane venne ucciso e sciolto nell’acido nel luglio del 2000. «Era la persona sbagliata», hanno spiegato il generale Enrico Scandone, comandante provinciale dei carabinieri di Napoli e il comandante del Nucleo Investigativo Andrea Leo. Gli arresti di oggi riguardano i presunti killer: spacciandosi per poliziotti prelevarono la vittima con la scusa di un controllo per portarlo in una zona isolata dove venne ucciso con un colpo alla testa e poi sciolto nell’acido. «I resti - ha sottolineato il procuratore Nicola Gratteri - vennero buttati nella fessura di un terreno che si trova vicino alla casa di uno degli indagati». Il comandante Leo ha messo in evidenza «la cattiveria e la sfrontatezza» manifestata dagli arrestati nei confronti di una persona «che non c'entrava niente con quella che cercavano».
Grazie ai riscontri delle dichiarazioni dei pentiti, è stato infatti ricostruito che il commando del clan Polverino cercava un certo Salvatore, colpevole di avere intrattenuto una relazione con la figlia di un elemento di spicco dell’organizzazione malavitosa di Marano di Napoli. Giaccio più volte ha cercato di spiegare che lui non era quel Salvatore. Ma non venne creduto. I sicari gli fecero mettere la testa tra le gambe prima di sparagli un colpo alla nuca.
Il secondo caso riguarda l’omicidio di Pasquale Manna, avvenuto lo scorso marzo e maturato nell’ambito di una scissione interna al clan Rea-Veneruso. Di questa vicenda ha parlato invece il colonnello dei carabinieri Pantaleo Grimaldi: «A sparare fu Francesco Rea (anche lui elemento di spicco come Manna, ma con quest’ultimo in contrasto - ndr). L’agguato scattò in un distributore di carburante a Volla, ma a Rea gli sfuggì la pistola. Questo diede a Manna la possibilità di scappare. Fu però inseguito e raggiunto nel quartiere Ponticelli, dove venne trucidato. Grazie alle immagini dei sistemi di video sorveglianza e ai rilievi antropometrici e somatici dei Ris è stato possibile individuare come possibile autore Rea».
L’esame dello stube ha rilevato la presenza di polvere da sparo sugli indumenti che si accingeva a bruciare, tra cui i guanti, che aveva coperto anche con una busta di plastica per impedire che gli spari lasciassero tracce. «Anche questa volta - ha sottolineato il procuratore di Napoli - la tecnologia si è rilevata importante, come importante e rilevante è stato l’esame dello stube che ha riscontrato la presenza di bario antimonio e piombo su indumenti. Lo studio delle immagini delle telecamere, ma anche l’altezza della persona, la sua camminata, e altri elementi hanno consentito una comparazione con persone con stessa altezza ed età, fino a una sovrapposizione, quasi come avviene con una comparazione tra impronte digitali».

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