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Un anno fa veniva uccisa la psichiatra del sorriso, ecco chi era Barbara Capovani

Barbara Capovani «era una psichiatra infaticabile e appassionata, non ricordo di averla mai vista senza sorriso. Gestiva ogni situazione in modo competente e rassicurante, trovando la soluzione migliore per tutti». È passato un anno dalla sua morte, il 23 aprile 2023 per mano di un paziente, e la presidente eletta della Società italiana di psichiatria (Sip), Liliana Dell’Osso, la ricorda con queste parole mentre si prepara, con i colleghi di tutta Italia, ad una giornata di lavoro 'particolare': domani, sabato 20 aprile, gli psichiatri saranno in ospedali ed ambulatori con una fascia nera al braccio, per ricordare Capovani e dire 'no' alla violenza contro i medici.
I numeri parlano da soli: secondo l’Inail, ogni anno sono oltre 2mila i casi di violenza in sanità. Seimila nel triennio 2020-2022, con un incremento del 14% sul triennio precedente.
Solo nel 2023 si contano circa 2300 casi, di cui altrettanti più lievi e non denunciati. Di tutti questi, il 34% avviene in ambito psichiatrico con un 21% al pronto soccorso secondo i dati del sindacato medico Anaao-Assomed. Ad un anno dalla morte di Barbara Capovani, «nonostante appelli e manifestazioni - afferma Dell’Osso - a parte frasi di circostanza, il problema psichiatria in Italia e della sicurezza dei dipartimenti e dei centri di salute mentale è rimasto sepolto sotto un mare di dichiarazioni senza soluzioni reali». Una prima misura, chiedono gli psichiatri, dovrebbe essere l’abolizione della Circolare Lamorgese sul divieto di intervento delle forze dell’ordine nei pronto soccorso e nei reparti: «Questa norma - sottolinea la presidente Sip Emi Bondi - ha deluso i medici e reso ulteriormente difficile la gestione dei pazienti violenti nei reparti di psichiatria». A ciò si aggiungono i problemi di gestione del Pronto soccorso, dell’emergenza e delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), «scambiate per ospedali psichiatrici giudiziari, come se la legge 81, che ne ha decretato la chiusura - rileva Bondi - non fosse mai esistita. Insomma, il ruolo che si sta tornando a dare alla psichiatria di gestore dell’aggressività, fa sì che sempre più spesso i sanitari siano chiamati ad occuparsi di tutta la devianza sociale, senza discriminazione fra chi è veramente un malato psichico che ha bisogno di cure rispetto a chi e solo un violento». E poi c'è il nodo delle risorse. La società «è cambiata, le patologie psichiche sono cresciute di numero, poiché vengono diagnosticate con più precisione e più precocemente. Le cure sono state rivoluzionate, eppure le risorse sono rimaste ferme. E così - commenta la presidente Sip - si chiudono i servizi territoriali e ospedalieri per la salute mentale e si contraggono i posti letto nei reparti sempre pieni, con il risultato di una fuga sempre più marcata del personale dal servizio pubblico».
L’ultima richiesta di aiuto è quella indirizzata, qualche giorno fa, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una lettera-appello sottoscritta da 505 operatori della salute mentale da tutta Italia, tra cui psichiatri, psicologi, infermieri e assistenti sociali. Denunciano lo stato "disastroso» dei servizi di psichiatria, tra mancanza di medici e scarsi fondi. I servizi di salute mentale, scrivono, «hanno un’importanza cruciale, soprattutto per le fasce più deboli e bisognose della popolazione. L’Italia non può permettersi di assistere impotente alla loro regressione, processo in atto da anni, e vicino a un punto di non ritorno. E noi, operatori in prima linea, non possiamo permetterci di tacere. Si è celebrato il centenario di Franco Basaglia, psichiatra ispiratore di quella legge che mezzo secolo fa ha cambiato nel nostro Paese l’approccio alla malattia mentale, portandoci all’avanguardia nel mondo. Ma cosa penserebbe Basaglia della situazione attuale della psichiatria italiana?». Ad oggi, concludono gli psichiatri, «non abbiamo ricevuto alcuna risposta».

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