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“L’incanto di Orfeo” a Palazzo Medici Riccardi

Al mitico cantore dedicate oltre 60 opere fra dipinti, sculture, disegni, manoscritti e film

Forse di tutti il più noto. Certo il più amato. Se non altro dagli animali, se persino il feroce Cerbero si ammansì al suono della sua voce. Si sta parlando di Orfeo, cantore, musico, sacerdote di sacri misteri, filosofo, mito di ineffabili leggende. Orfeo figlio del re di Tracia (secondo altri addirittura di Apollo) e di Calliope, musa della poesia epica il cui nome significa “dalla bella voce”, ricevette in dono da Apollo la sua lira, da dove il canto ineguagliabile che spostava le rocce e deviava il corso dei fiumi.
A “L’Incanto di Orfeo” Firenze dedica un grande evento ospitato a Palazzo Medici Riccardi, storica prima dimora dei Medici dove vissero Cosimo e Lorenzo il Magnifico. La mostra, aperta fino all’8 settembre, è curata da Sergio Risaliti, direttore del Museo del Novecento anche autore del progetto, e da Valentina Zucchi. Sono oltre 60 opere –dipinti, sculture, disegni, manoscritti, installazioni e film-. Rilevante l’apporto del catalogo edito da Silvana, accurato documento completo di immagini e riferimenti storico/artistici da Tiziano ai contemporanei: vi figurano Brueghel, Rembrandt, Parmigianino, Delacroix, Moreau, Savino, Arturo Martini, Melotti, Paladino. L’immagine del manifesto avrebbe forse voluto un soggetto più ispirato (è un quadro del caravaggesco Gerrit van Honthorst -da noi meglio conosciuto come Gherardo delle Notti- che ritrae un poderoso Orfeo ignudo semiavvolto in un drappo rosso che più sulfureo non si può, più martire di una arena che celestiale cantore) ma poi l’ampio contesto delle opere illustra a dovere l’incanto del mitico personaggio.
La struggente storia d’amore di Orfeo ed Euridice, giunge dalla Grecia a Roma per ispirare Virgilio e Ovidio (le Metamorfosi). Nel 1600 diventa oggetto della prima opera lirica, musicata da Jacopo Peri e Caccini in occasione delle nozze di Maria de Medici con Enrico IV, andata in scena a Palazzo Pitti. E se ne occupano Monteverdi, Gluck, Stravinski. Nella poesia, Poliziano, Pico della Mirandola. Nel nostro tempo, Rainer Maria Rilke (i Sonetti ad Orfeo), Jean Cocteau (due film: Orfeo e il testamento di Orfeo). Poi Calvino, Bufalino. Fino alla musica leggera, con una canzone di Vecchioni.
La moda culturale del mito di Orfeo era scoppiata nel Quattrocento. La statua di Orfeo con cui prende il via la mostra di palazzo Medici Riccardi fu addirittura commissionata a Baccio Bandinelli da un Papa: il colto Leone X (Giovanni, figlio del Magnifico). Lo stesso Cosimo non si era saputo sottrarre al fascino del Cantore e come tale aveva chiesto al Bronzino di essere ritratto. Nel ’700, dopo il clamore suscitato dall’Orfeo di Gluck, il fiorentino Girolamo Gondi si fece realizzare un’opera da Pierre de Franqueville, in seguito trasferita a Versailles e oggi presente in mostra.
La storia di Orfeo, si sa, non è tutta rose e fiori. Con il suo canto il giovane riesce ad ottenere di trarre dal Regno delle tenebre l’amatissima Euridice ma a patto che non si giri a guardarla finché non saranno di nuovo alla luce del sole. Orfeo non sa trattenersi e, questa volta per sempre, perde la sposa. Da allora vagherà disperato, sino ad una fine atroce: dilaniato dalle Baccanti le quali, su ordine di Dioniso (Orfeo andava declamando che Apollo era il dio più grande di tutti!) sparsero le sue membra ovunque.
Ma l’immaginario popolare ha tramandato intatta la mitica figura del sublime Cantore, emblema dell’amor coniugale. Soggetto privilegiato dell’arte e della cultura fiorentina, Orfeo è presente fin dal Trecento in una formella del campanile di Giotto, per avere un posto di rilievo nello studio e nell’interpretazione della classicità in età rinascimentale, con sottolineature letterarie, filosofiche e politiche. In mostra si può ammirare anche un esemplare delle Argonautiche orfiche, tradotte in latino dal Poliziano, e una versione istoriata delle Metamorfosi, volumi di inestimabile valore appartenenti alle Biblioteche Riccardiana e Laurenziana.
Qui uno dei pregi di maggior interesse dell’evento fiorentino: aver spaziato in tutti campi (presente anche una sezione dedicata alle scenografie, figurini e maschere di artisti collaboratori del Maggio Musicale Fiorentino (vedi Giorgio De Chirico). Tra le opere pittoriche, travolgente l’interpretazione di Ary Scheffer, con Orfeo che strappa con violenza l’amata dal Regno delle tenebre; truculenta quella della furia delle Baccanti dipinta da Odile Redon con la testa decapitata di Orfeo. Ma la più incantatrice resta l’ immagine tenerissima della coppia nel suo cammino verso la luce, struggente opera di Anselm Feuerbach : Euridice, di bianco vestita, segue lo sposo a capo chino, ignara che tra poco lo perderà per sempre. Fine della favola bella di Orfeo ed Euridice.

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