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Dispersi nella frana, ansia per Agnese Milanese e il figlio Giuseppe Guadagnino. "Stato di calamità" a San Felice a Cancello

Il giorno dopo il passaggio furioso del fiume di fango e detriti che si è lasciato dietro tanti danni e probabilmente la vita di due persone, a Talanico, frazione collinare del comune di San Felice a Cancello, c'è tristezza tra i residenti, ma si spala il fango da case e cantine, perché «bisogna ripartire subito». Due bar hanno già riaperto, così come la macelleria, dopo tour de force notturni.

Qualcuno parla di «paese lasciato solo», di scarsa manutenzione del territorio, sottolineando che dalla collina sarebbero venuti giù anche ingombranti e altri rifiuti, ma adesso c'è poca voglia di polemizzare. «Ripartire», è la parola d’ordine: e infatti la macchina dei soccorsi si è messa subito in moto. È il sindaco di San Felice a Cancello, Emilio Nuzzo, a ricordare la fragilità idrogeologica dell’area, nel 1998 colpita dall’alluvione di Sarno, l’anno scorso e altre volte da continui allagamenti. Ma stavolta è diverso. «Il paese - dice Nuzzo - ha subito gravi danni dopo una pioggia durata al massimo quindici minuti. Abbiamo chiesto lo stato di calamità naturale e ci sentiamo un pò abbandonati, perché più volte, ma invano, avevamo denunciato il dissesto».

E mentre si cerca di capire come sia stato possibile che un quarto d’ora di pioggia abbia provocato un simile disastro, i vigili del fuoco continuano a cercare senza sosta in un’area piena di fango e pietre lunga più di due chilometri, con cani molecolari, droni, gommoni e sommozzatori, la 74enne Agnese Milanese e il figlio 42enne Giuseppe Guadagnino, dopo che nella notte era stata ritrovata l’Apecar su cui i due avevano cercato di sfuggire alla furia della natura. Il mezzo, ridotto ad un rottame, era in un canalone nel pieno centro della frazione, dove il fiume di fango e detriti ha trovato ieri un ulteriore sfogo alla sua corsa dalla collina.

Madre e figlio ieri pomeriggio erano usciti per andare a raccogliere le noci, per paura che la pioggia incombente potesse rovinare il raccolto, e quando ha iniziato a piovere e grandinare in modo violento, hanno fatto in tempo a raggiungere l’Apecar. Davanti a loro, in un altro mezzo a tre ruote, c'era Raffaele, figlio di Agnese e fratello di Giuseppe, che stamattina, appoggiato al parapetto che dà sul canalone, piangeva disperato. «Erano dietro di me - racconta - poi ad una curva io sono passato e loro non li ho visti più. Rischio di restare solo», aggiunge Raffaele, alludendo al fatto che un altro fratello - sono tre - è morto molti anni fa colpito da una scarica elettrica mentre faceva il muratore, e anche il padre non c'è più. «Li ho cercati tutta la notte, li abbiamo cercati anche con i droni dei vigili del fuoco, ma inutilmente», non si da pace Raffaele.

Al muretto del canalone c'è anche Alessandro, con cui Giuseppe lavorava come asfaltista: «dovevamo vederci stamattina alle 6.30 per andare a lavorare», dice con la voce rotta. «Era un ragazzo serio e attaccato alla madre. E pensare che erano arrivati a cento metri dalla casa in cui abitano quando sono stati travolti».

Il prefetto di Caserta Giuseppe Castaldo, che ha coordinato le operazione di ricerca dei dispersi e messa in sicurezza del territorio, dopo aver effettuato un sopralluogo e una riunione tecnica in Comune, ha disposto un rafforzamento delle unità in campo per la ricerca delle due persone», spiegando poi che una delle concause del disastro potrebbe essere stato anche l'incendio che, ad inizio agosto, ha devastato la pineta della collina da cui si è staccata la colata di fango e detriti, diventato poi un fiume in piena. «Sicuramente la mancanza di alberi in alcuni punti della collina ha indebolito la capacità di resistenza del terreno; gli alberi avrebbero forse potuto rallentare la frana o mitigare quanto accaduto. Ma queste sono valutazioni che faremo in una fase successiva. Ora dobbiamo concentrarci sulle ricerche e sulle opere urgenti di messa in sicurezza».

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