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Scoperta una banca cinese abusiva in Italia, frode al fisco da 500 milioni di euro

Una «mega-lavatrice» di denaro di provenienza illecita che poi ritornava in Cina, anche tramite bonifici su conti virtuali in base a fatture false, o reimpiegato in Italia in attività di ristorazione, auto di lusso o acquisto di immobili. È ciò che hanno scoperto con l'operazione «No name», i finanzieri del Comando provinciale di Ancona i quali, su delega dell’European Public Prosecutor's Office (Eppo) con sedi a Milano e Bologna, hanno smantellato un’associazione per delinquere di matrice cinese finalizzata a frode fiscale internazionale e al riciclaggio: eseguite nove misure cautelari personali e sequestri per 116 milioni di euro alla banda radicata in particolare nel Maceratese, con ramificazioni in varie regioni.

Circa 500 i milioni di euro sottratti a tassazione, tre miliardi di transazioni effettuate tramite una banca abusiva gestita da persone di origine cinese, con tre sportelli tra cui un’agenzia viaggi, un cash and carry e un’abitazione (a Civitanova Marche, Trodica di Morrovalle e Corridonia) dai quali il denaro viaggiava sotto traccia e veniva trasferito tramite corrieri o con prelievi in contanti in cambio di bonifici per fatture false: su questo scambio l’organizzazione percepiva una provvigione e gli utenti, anche imprenditori italiani, avevano liquidità nascosta.

Sette le persone arrestate (due promotori in carcere, cinque ai domiciliari, tra cui un italiano, con braccialetto elettronico), per due obbligo di firma alla polizia giudiziaria; 44 gli indagati e 33 i destinatari di sequestri nelle Marche e in altre 21 province in Puglia, Emilia Romagna, Veneto, Abruzzo, Toscana, Campania, Piemonte e Lazio.

Sequestrati nove immobili, una cittadella commerciale (a Civitanova Marche), conti correnti, auto di lusso tra cui due Porsche, e cinque ristoranti cinesi (con permesso di continuità imprenditoriale) a Urbino, Ancona, Civitanova Marche, Porto Sant'Elpidio e Senigallia.

I dettagli dell’operazione illustrati ad Ancona dal comandante regionale Marche delle Fiamme Gialle, generale Nicola Altiero, dal comandante provinciale di Ancona generale Carlo Vita, dai vertici Nucleo Polizia economico finanziaria, colonnello Ciro Castelli, e del Gico, tenente colonnello Peppino Abruzzese.

L’indagine, eseguita anche avvalendosi di interpreti cinesi e con l’esame di chat, è partita dall’osservazione di imprese cinesi «apri e chiudi» in cui confluivano denaro e fatture per poi sparire. La provvista, hanno accertato i finanzieri, derivava dall’importazione di merce (abbigliamento e accessori) fatta arrivare con oltre 400 container: con vari artifizi e triangolazioni tramite ditte inesistenti in Grecia e Bulgaria, l'organizzazione eludeva l’Iva e gran parte dei dazi doganali per la merce, sottovalutata nei carichi, che veniva venduta in nero in esercizi in Italia. Una procedura che forniva una gran mole di denaro, ripulito tramite la banca sotterranea.

Alla frode contribuivano anche imprenditori italiani che fingevano di pagare fatture fantasma con bonifici a conti in apparenza Ue, ma destinati a tornare in Cina dopo aver eluso l’anti-riciclaggio, transitando in vari stati tra cui Grecia, Bulgaria, Francia, Spagna, Germania, Estonia, Irlanda, Gran Bretagna.

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