
Nascondendo le «ingenti effettive perdite» pur di mantenere in piedi il gruppo Visibilia, allora con un titolo quotato in Borsa e ora sospeso da quasi un anno, non sarebbe stato «conseguito un profitto di rilevante entità» bensì si sarebbe aggravata la «condizione economica» tanto da rendere necessarie «periodiche ricapitalizzazioni» fino a uno stato di crisi conclamato.
La giudice di Milano Anna Magelli ritiene che nella inchiesta su Visibilia, gruppo fondato da Daniela Santanché, la ministra che ha avuto cariche fino al dicembre 2021 ed è stata mandata a processo in qualità di imprenditrice con altri 16 imputati per false comunicazioni sociali, siano state provate «plurime condotte di falso in bilancio» dal 2016 al 2023 «nonché la commissione di altrettanti illeciti amministrativi». E lo mette nero su bianco nelle motivazioni della sentenza con cui, tre giorni fa, ha accolto, tenendo conto della prescrizione di alcune annualità, le richieste di patteggiamento di Visibilia Editore Spa, Visibilia Editrice srl e di Federico Celoria (RPT: Celoria), ex componente del cda: le prime due hanno concordato con la Procura rispettivamente 63.600 e 30mila euro di sanzione pecuniaria e una confisca di 15mila euro e di 10mila euro e il terzo ha proposto una pena, sospesa, di 2 anni e la confisca di 5mila euro.
Quello che venerdì scorso è stato letto in aula è un primo atto di un giudice su una vicenda che ha un risvolto politico non indifferente e che rischia di avere un peso specifico sul governo. In poche pagine si spiegano i motivi per cui non si è potuto dichiarare il proscioglimento ed è stato accolto, invece, il patteggiamento dei tre imputati, in linea con la ricostruzione dei pm Marina Gravina e Luigi Luzi che, con l'allora aggiunto Laura Pedio (ora procuratrice a Lodi), hanno coordinato l’inchiesta delegata al Nucleo di Polizia economico finanziaria della Gdf.
Come si evince dal provvedimento, Visibilia Editore spa «già dal 2016» avrebbe «dovuto svalutare integralmente sia la voce avviamento» nei bilanci, sia quella «imposte anticipate», in un quadro che va dal 2026 al 2020 fatto di «utili» non «conseguiti», di «assenza» di una «seria prospettiva di continuità aziendale» e di «piani industriali triennali eccessivamente ottimistici». Piani che «avevano l’effetto concreto di evitare la svalutazione dell’avviamento, in quanto le previsioni reddituali non sono mai state rispettate».
Nel dettaglio, essendo la voce avviamento, ossia il valore intrinseco della società, uno dei temi centrali dell’indagine, si sottolinea in merito alla Editore spa che era «contabilizzata» per oltre 3,2 milioni di euro, ma avrebbe dovuto «essere azzerata» già nel bilancio al 31 dicembre 2016. E ciò sulla base di una «corretta stima dei ricavi e dei costi e tenuto conto di una previsione di crescita non in linea con i risultati». Un’ipotesi questa valida per entrambe le società - una terza, Visibilia srl in liquidazione, affronterà la questione a partire dal 20 marzo in dibattimento -, da sempre respinta dalle difese, ma che ora ha un «timbro» di un gup. Il quale, nell’accogliere le attenuanti generiche chieste dai legali, ha scritto testualmente: «Emergendo dagli atti che entrambi gli enti - dalla prosecuzione dell’attività di impresa, celando le ingenti effettive perdite, ed evitando le necessarie ricapitalizzazioni, nonché riuscendo a mantenere la quotazione di Visibilia Editore spa e i rapporti bancari e finanziari in essere - non risultano aver conseguito un profitto di rilevante entità; al contrario sembrerebbero avere entrambi aggravato la rispettiva condizione economica, tanto da rendere obbligatorie periodiche ricapitalizzazioni».
Tra un paio di settimane la sentenza diventa definitiva.
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