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Con orgoglio
senza pregiudizi

di Patrizia Danzè

«Una lucidità di giudizio non appannata da nessuna particolare attenzione rivolta a lei» dice Jane Austen descrivendo Elizabeth Bennet, protagonista del suo romanzo “Orgoglio e pregiudizio”. Parole lapidarie da donna a donna, da autrice a personaggio, ed ecco delineato sin dalle prime pagine, senza incertezze,  uno dei più bei caratteri femminili della letteratura di tutti i tempi. Elizabeth, detta Lizzy, è  l’“eroina” di uno dei romanzi più celebri e più letti del mondo, che ha da poco festeggiato il bicentenario della pubblicazione. Era infatti il 28 gennaio 1813 quando Jane Austen, figlia del pastore protestante di Steventone nello Hampshire, nata nel 1775, penultima di otto fratelli, vestale della casa fino alla morte (che sopraggiunse quattro anni dopo nel 1817, a soli 47 anni) vide “Orgoglio e pregiudizio” pubblicato dall’editore Thomas Egerton della Military Library di Whitehall (Londra), con il quale aveva già trattato nel 1811 la pubblicazione di “Ragione e sentimento”, il primo dei sei romanzi che sarebbero seguiti (“Mansfield Park”, 1814, “Emma” 1815, “L’abbazia di Northanger” e “Persuasione”, usciti entrambi postumi nel 1818).

Da quel giorno le Jane volitive e determinate, illuminate da un’aura di femminilità intellettualmente e moralmente libera (nonostante i recinti invalicabili che circondavano il mondo femminile) si sono moltiplicate, a cominciare da Jane Eyre di Charlotte Brontë per finire alla Jo March di “Piccole donne” di Louisa May Alcott. Tutte eroine della quotidianità, tutte anime belle dentro un mondo reale attraversato da convenzioni e conformismi particolarmente pesanti per il sesso femminile. Ebbene, Jane Austen, Charlotte Brontë e Louisa May Alcott prendono la parola nella scrittura in nome di tutte le donne attraverso i loro personaggi che ne rivelano in gran parte la forza di carattere e il diritto di resistenza.

Elizabeth di “Orgoglio e pregiudizio” s’impone come imperativo categorico il dovere di parlare (come faranno Jane Eyre e Jo March), pur restando fortemente radicata alla comunità in cui vive. «Tre o quattro famiglie in un paese di campagna – disse Jane Austen – sono la sola vera cosa su cui lavorare». La campagna, un mondo. Di relazioni, di voci, di intelligenze, di moti dell’anima, una fucina di caratteri, educazioni, sentimenti diversi. E pazienza che la storia, la grande storia (le solite guerre e i soliti intrighi di potere) appaia in lontananza, sfocata come in quei dipinti ottocenteschi dove fa da cornice alla vita pulsante nel qui e nell’ora della famiglia, dei salotti, delle tenute di provincia, delle brughiere ventose e delle strade fangose.

Lontana anche la città; meglio i villaggi con la pieve di paese, le regole vincolanti, i sani compromessi giornalieri e il vitale individualismo di piccole comunità che sublimano desideri e aspirazioni – più o meno repressi o soddisfatti – con i sacri riti della quotidianità, soprattutto i rituali sociali di chi aveva una posizione inferiore (per rango e rendite economiche) ed aspirava come mamma Bennet a collocare meglio le sue figlie.

Sarebbero seguite poi tante eroine in carne ed ossa, tante Jane e tante Jo, che avrebbero combattuto per i loro diritti, anche fino a morirne. E sarebbero venute, nel tempo, tante opere letterarie per le quali un libro come “Orgoglio e pregiudizio” sarebbe stato fonte di ispirazione e lezione di stile. Perché è soprattutto questo il segreto della freschezza di quella fiction mantenuta attraverso i tempi e i cambiamenti sociali: l’indiscussa abilità della Austen nell’espressione della forma e nella scelta dei contenuti; e l’equilibrio nel mettere a posto i tasselli della vita fino ad una conclusione complessivamente felice ma dietro alla quale pare che la scrittrice, sempre lì a sorvegliare con intelligente ironia la sua mirabile costruzione, sembra dire: «E qui comincia la vita matrimoniale», che è ovviamente un’altra cosa.

Ora, tra tanti eventi che si susseguono per celebrare il bicentenario di “Orgoglio e pregiudizio” (particolarmente intensi i festeggiamenti del Jane Austen Center e della Jane Austen Society of North America), e mentre tante “Janeites” (come si chiamano le sue fan) scrivono romanzi ispirati a quelli della scrittrice e organizzano party tea  in costume e ricevimenti nello stile dell’epoca, ci si prepara ad un ritorno della Austen sul grande schermo con “Persuasione” (in preparazione per il 2014), dopo il film del 2005 di Joe Wright con Keira Knightley nei panni di Elizabeth, e dopo quello – magnifico – del 1940 di Robert Z. Leonard con Greer Garson e Laurence Olivier (per non parlare delle reinterpretazioni televisive tra le quali uno sceneggiato Rai del 1957 e la miniserie della BBC con Colin Firth).
Intanto, la Gazzetta del Sud ha raccolto le testimonianze di sei scrittrici che ci hanno parlato del loro “Orgoglio e pregiudizio”.  

LIDIA RAVERA

«La mia lettura di “Orgoglio e pregiudizio” si perde nella notte dei tempi» dice Lidia Ravera, giornalista e scrittrice (il suo celebre “Porci con le ali”, primo di tanti romanzi altrettanto noti, ha fatto epoca; l’ultimo è “Piccoli uomini”, del 2011).
«Di questo romanzo – continua la Ravera – mi piace l’esattezza quasi marxista con la quale si registra e ci si addentra nel mercato delle relazioni; eccezionale la descrizione puntuale e minuziosa di tutti i rituali per prepararsi al matrimonio. Perché quella era la visione femminile del mondo di quei tempi; i ruoli erano molto ristretti e il mondo molto limitato. Il romanzo è una pagina mirabilmente realista di vita vissuta, ma anche straordinariamente ironica. I discorsi sono costruiti molto bene e sorvegliati sempre da quella speciale vena ironica della Austen, la stessa degli altri suoi romanzi. L’effetto è quello di un romanzo che è tutto il contrario di un romanzo “rosa” pur contenendo gli stessi ingredienti. Insomma leggendo “Orgoglio e pregiudizio” non caschi dentro le trappole del romanzo rosa ma registri attentamente tutto, le voci, i moti dell’anima, gli andirivieni del pensiero perché lo consente l’autrice con la sua grande intelligenza. Per questo è una lettura di sempre, anche dei giovani di oggi, perché si tratta di grande letteratura».

DACIA MARAINI

Dacia Maraini, una vera icona della narrativa italiana, e che ha di recente pubblicato “L’amore rubato” (Rizzoli), storie ordinarie di donne violate, dice: «Paragono Jane Austen a Mozart per la felicità del ritmo e del tocco leggero. Però la Austen, per mantenere la felicità (perché la scrittrice racconta la felicità dell’incontro, del fidanzamento, dell’amore) si ferma prima del matrimonio. Ci penseranno le sorelle Brontë a raccontare il matrimonio e lì verranno fuori i drammi e i conflitti che la vita matrimoniale comporta. “Orgoglio e pregiudizio” mi fa pensare anche a “Piccole donne” di Louisa May Alcott, un romanzo che ha molti punti in comune con quello; anche qui ci sono quattro donne sole (lì sono cinque) che combattono contro la povertà, contro il classismo. Ecco, io credo che la Alcott si sia in qualche modo ispirata alla Austen, con la quale condivide il tocco leggero e intenso».  

SIMONETTA AGNELLO HORNBY

Divisa tra Londra e la Sicilia, Simonetta Agnello Hornby, di cui è in uscita a metà febbraio “Il veleno dell’oleandro” (Feltrinelli), interviene con la sua solita sensibilità: «Duecento anni fa Jane Austen, una  zitella piccolo borghese del sud dell'Inghilterra, pubblicò il  maggiore  fenomeno letterario di tutti i tempi, scritto negli intervalli tra i  doveri domestici e di società.  “Orgoglio e pregiudizio” è un capolavoro per la universalità della storia, la  penna incisiva e soprattutto per il fascino di Elizabeth Bennet, figlia  obbediente, sorella affettuosa, amica fedele e  personaggio modernissimo: una  proto femminista incapace di compromettere la propria integrità. Non ricca, ma conscia della propria intelligenza, Lizzy ha sempre la  risposta pronta; data con grazia e un filo di humour,  colpisce ma non distrugge. Di aspetto “appena tollerabile”,   riesce a domare il presuntuoso Darcy,  socialmente irraggiungibile, che si  innamora pazzamente di lei e del suo animo. Eroina e antieroina, Lizzy rappresenta la donna che tutti noi vorremmo essere: femminile, laboriosa, di compagnia, leale e intelligente, arguta e indipendente di mente. Non saprei descrivere meglio il messaggio di Jane Austin che con le parole di mia madre, quando mi diede il romanzo:  “Goditelo”, e poi aggiunse: “Simonetta, ricordati di  non permettere a nessuno di toglierti la tua dignità. Nessuno ha il diritto di renderci infelici”.

ROMANA PETRI

Sorride e ha un moto di sorpresa quando le si chiede cosa ha significato per lei la lettura di “Orgoglio e pregiudizio” Romana Petri, scrittrice e traduttrice, una vita tra Roma e Lisbona, dove insieme al marito Diogo Madre Deus dirige la casa editrice Cavallo di Ferro. A marzo uscirà per Longanesi “Figli dello stesso padre”, suo tredicesimo romanzo. Sorride perché in un suo romanzo “Ovunque io sia”, struggente saga familiare ambientata a Lisbona, una delle protagoniste, Maria do Ceu, ha letto un solo libro nella sua vita: “Orgoglio e pregiudizio”, imparato a memoria e consumato.
 Dice la Petri: «È stato senz’altro uno dei libri più importanti della mia crescita, anche se non è il mio preferito: di Jane Austen apprezzo di più “Emma”. Ma ho capito una cosa importante: che un buon romanzo può essere scritto sotto forma di cruciverba. Nel senso che la Austen, scrittrice dalla mente limpida e ordinata, ha saputo riempire tutti i tasselli, comporre un puzzle così perfetto, con incastri così azzeccati che alla fine tutto è ordinato. Quel che si porta dietro è un assioma fondamentale: tutta la vita è un continuo chiedersi e dare risposte. E i libri di Jane Austen di risposte ne danno tante».  

BEATRICE MASINI

Beatrice Masini, la traduttrice italiana di Harry Potter e autrice di tante storie per bambini e ragazzi (ma ha da poco dato alle stampe il suo primo romanzo per “adulti”, “Tentativi di botanica degli affetti”, Bompiani), ci dice: «L’ho letto tanti anni fa e l’ho riletto non più di due o tre anni fa, perché “Orgoglio e pregiudizio” è senz’altro uno di quei libri che si rileggono. Certamente, il personaggio più interessante è Elizabeth, della quale ho apprezzato l’arguzia della conversazione: Elizabeth, detta Lizzy, per quanto si mantenga dentro i codici o dentro i canoni di una ragazza di quei tempi che sa fare un po’ di tutto, dall’arte del ricamo alla musica, dalla pittura alle altre incombenze femminili, senza distinguersi in nessuna di esse, pur non bellissima come la sorella, ha però una qualità eccezionale, l’arte della parola e del linguaggio ragionato. Una vera forza che la renderà l’eletta di un personaggio difficile e inaccessibile come Darcy. Un vero trionfo per quel tempo. Se Elizabeth sia una femminista ante litteram non saprei, anzi non direi proprio, perché la sua lotta non è collettiva, ma personale. Posso capire perché piace leggere questo romanzo e perché piace moltissimo ai giovani; c’è la scoperta del mondo, della vita, e c’è l’amore agognato, sofferto, conquistato. L’eterno primo amore».

PAOLA MASTROCOLA

Paola Mastrocola, insegnante e scrittrice torinese, che sta per pubblicare per Einaudi il nuovo romanzo “Non so niente di te”, una storia di genitori e figli, ricorda: «L’ho letto quando ero molto giovane e poi non l’ho riletto più. Ma lo do da leggere ai miei alunni, o meglio alle mie alunne, e devo dire che piace, anzi devo dire che è tra i libri più amati, anche se non lo diresti, laddove pensi che altri libri che dovrebbero “prendere” non “prendono” affatto. Probabilmente perché è un libro estremo, cioè di passioni estreme; forse questo tipo di storie fa attrito con il loro mondo un po’ appiattito, senza affondi, troppo buono. Perché io credo che i nostri ragazzi di oggi sono troppo “buoni”. E lì, vallo a sapere, ma scatta l’idea o il miraggio di passioni che magari non hanno. Altrimenti non si capisce il fascino che questa lettura ancora esercita. Ricordo che per me fu una lettura dalla quale non riuscivo a staccarmi, anche se, confesso, non è uno dei miei libri “fondamentali”, non è molto nelle mie corde. Certamente molto dipende anche dai momenti e dalle stagioni delle letture. Dunque, una lettura dalla quale non riuscivo a staccarmi ma che m’impegnava molto, anche se oggi mi fa sorridere quella mamma che annaspa per collocare bene, cioè per sposare, cinque figlie».

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