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Velario Magrelli
e il "sangue amaro"

VALERIO MAGRELLI
''IL SANGUE AMARO''
(EINAUDI, pp. 150 - 13,00 euro). 

''E' una specialità della casa, sin dal lontano 1957'', scrive Valerio Magrelli, facendo riferimento al proprio anno di nascita, a proposito dell'abilità nel farsi 'Il sangue amaro', come si intitola la sua ultima raccolta di versi, assai articolata e divisa in 12 sezioni, che arriva a otto anni di distanza da 'Disturbi del sistema binario'. La fatica e le miserie del vivere prendono corpo nella parte migliore di questo volumetto (a un amico che compie 70 anni confessa: ''Qui non si vede niente / è tutta una salita / figurati che già mi sento stanco''), che ha la delusione modellata dalla sapiente ironia che gli è propria per le illusioni del Natale, che sono poi quelle di Dio (''povero gesùcristo, dio impotente, cosa speri di fare''?), per un sentire scorrere le cose sotto la pelle, colte in trasparenza, vita misteriosa che fluisce, come ''il mormorante abbraccio'' dei tubi d'acqua nascosti nelle pareti di casa. 

La realtà è che ''l'ansia avanza e non consuma'', rivelandosi come sostanza vana della vita stessa, e Magrelli se ne mette in ascolto, si guarda dentro, si autocelebra e dischiude, sorridente nello stemperare eventuali angosce sui propri limiti e insofferenze, ma impietoso, per costruire un ritratto esemplare di un modo d'essere, quasi di un'epoca, o almeno di questi nostri anni, perché la poesia, al suo meglio, è la voce di tutti e di ognuno. Una poesia salvifica, certo, come lo è per sua natura la poesia, ma assieme che non assolve, non trova nell'ironia la chiave che modifica la sostanza delle cose e apre la porta alla speranza del futuro (''sono versi e danno fiele''), ma solo il palliativo dell'intelligenza sul sentimento incontrollabile, su angosce e paure: ''ti guardo, cerco di guardarti dentro / come se mi sporgessi su un abisso /.... / Vorrei stare con te lì in basso, invece / resto inchiodato a questo ponticello / atterrito e remoto, separato / legato alla vertigine che amo,/ se amore è la distanza che ci chiama / e insieme la paura di varcarla''. Tutto questo sino all'estremo pensiero di avere ''infettato'' i suoi figli trasmettendogli la vita, ''gettando su questi incolpevoli il peso / che da solo non riuscivo a sopportare''. 

Eppure è il sentire cantare la figlia oltre una porta a fargli esclamare che questo ''può bastare'', perche' si è sempre ''ostaggio dell'amore / E' lui il tremendo tesoro / che fa argine / sul ciglio del non-essere''. Per questo forse questo è un libro dall'apparenza vitale, anche nel suo manierismo, come nel suo cogliere sempre nel vivo, nel suo giocare, con le parole, col loro senso, con le variazioni del discorso, costruendo una poesia quotidiana e sperimentale assieme, inseguendo, tra componimenti intimi e altri d'occasione, titoli curiosi, dediche particolari, momenti tematici che vanno dal Natale a un calendario lungo i 12 mesi con una premessa, da versi per altri poeti, Pagliarani o Sanguineti, a sbandamenti emotivi, immagini e accensioni civili, come per i morti della Thyssen, pensieri sulla cyclette come su Totò, amaramente aderendo allo ''stampo'' del mondo, per coglierne i rumori, magari attraverso le vibrazioni di un vecchio phon.

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