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Per la musica?
Ci vuole il cuore

È un fiume in piena, Renzo Arbore: il concerto comincerà fra poco, e lui, già in abito di scena – una strepitosa camicia hawaiana verde – risponde calmo e sorridente alle domande che dieci fan hanno avuto la possibilità di rivolgergli in un incontro esclusivo, grazie all’iniziativa della Gazzetta del Sud, assieme a Sud Dimensione Servizi di Lello Manfredi che ha organizzato lo spettacolo, l’ultimo in cartellone per il Teatro Vittorio Emanuele, nell’arena di Portorosa a Furnari. Di seguito le dieci domande (con ciascun autore) dell’ “intervista collettiva”.

Sono un 58enne e sono cresciuto con gli ideali degli anni 60 e 70: allora la musica non aveva solo uno scopo ricreativo ma anche educativo. Io ci ho sempre creduto, lei ci crede ancora? (Bruno Artuso)

«Io ci ho creduto sì. Ho iniziato fin da “Bandiera Gialla” e con “Due giorni alla radio”. Facevo conoscere non solo il rock che andava ma anche i cantanti italiani che meritavano di essere conosciuti. Lanciai Fausto Leali, che nessuno conosceva, con “A chi”; la canzone napoletana con Roberto Murolo; il jazz che io chiamo propedeutico, quello che serve a conquistare altro pubblico, non quello difficile. Poi abbiamo fatto una trasmissione con Gegè Telesforo e Monica Nannini che si chiamava “Doc”, 400 puntate su Rai2, tra il 1987 e il 1989: sono rimaste negli archivi della Rai, che speriamo di riutilizzare, con tutte queste puntate straordinarie dove c'erano cantanti e personaggi del rock, del jazz, del pop da James Brown a Mike Davis a Enzo Iannacci a Francesco De Gregori, allora giovanissimi. Ci sono canzoni che durano una stagione, poi ci sono però le opere di Modugno, di Battisti, De Gregori, De Andrè, Gaber che rimangono nella storia, canzoni sempreverdi».

La musica che tu porti in giro per il mondo è rappresentativa della nostra cultura musicale. Quale secondo te è il brano per eccellenza che è più incisivo nel cuore degli italiani nel mondo? (Antonia Barresi)

«Non ci sono dubbi: tra gli italiani nel mondo l'inno è “O sole mio”. Ma non solo degli italiani: è la canzone più famosa nel mondo. Se uno va in Australia, in Messico, in Cina c'è sempre uno che canta “O sole mio”. Bisogna ringraziare i tenori che l'hanno fatta conoscere in tutto il mondo, poi l'hanno cantata da Elvis Presley a Ray Charles. Io l'ho fatta fare a Ray Charles in un concerto a New York».

Il massimo contributo che può dare un artista genuino, sincero e famoso al proprio Paese è la diffusione della cultura della propria patria nel mondo. Pensa che sia possibile “alzare l'asticella” e avanzare una proposta, indicare una direzione, mettere in moto un processo che smuova l'immobilità in cui sembra l'Italia intera (e il Sud) sia caduta? Trasformare la musica popolare in pensiero, azioni ed energie positive rivolte al cambiamento o gli immortali brani che lei canta sono destinati ad essere e a rimanere “solo canzonette”? Vedremo mai Renzo Arbore Ministro della Cultura? (Pino Crea)

«Questo è impossibile (ride). Però io sto facendo una piccola opera di diffusione con il ministro dei Beni Culturali Franceschini per valorizzare la canzone italiana del 900. Che viene considerata “canzonetta” perché viene confusa con quella di Sanremo, con quella di certi autori minori. Però la canzone italiana dei personaggi che ho detto prima, cominciando da Modugno ma anche prima, con le canzoni bellissime degli anni 10, 20 e 30, "Signorinella", "Come pioveva", io spero che si decidano a farla studiare a scuola. Io non capisco perché noi studiamo “La donzelletta vien dalla campagna” e non studiamo “Titanic” o “Caruso” o “Nuvolari”: opere formidabili che dovrebbero essere studiate a scuola e poi diffuse in inglese».

Renzo, tu sei un artista eclettico, hai fatto tutto, sei passato dalla radio alla televisione al cinema al teatro alla canzone, ma c'è ancora un sogno che vorresti realizzare? (Filippo Di Blasi)

«Sì. Mi sto divertendo con un Channel mio, si chiama RenzoArboreChannel.tv ma per adesso lo tengo silente. Vorrei usare questo canale, magari col contributo della Rai, per diffondere la cultura musicale, e anche un certo tipo di cultura che io definisco “propedeutica”. Ad esempio i comici: nessuno sa chi è Aldo Fabrizi. E invece un ragazzo deve capire che Brignano discende da Proietti, Proietti discende da Alberto Sordi, Alberto Sordi discende da Aldo Fabrizi. Questo è il mio sogno».

Trovi difficoltà a stilare la scaletta per ogni concerto, visto che vengon a vederti diverse generazioni? Come accontenti tutti? (Mariella Duca)

«Questo è un po' difficile. Io non lo so se riesco ad accontentare tutti. Facciamo un po' di swing, un po' delle canzoni della televisione, poi escursioni nella musica caraibica, e poi le canzoni napoletane e quelle italiane. L'Orchestra italiana ha una sua precisa personalità. Poi casomai con altri gruppi faccio swing o jazz. Mi diverto andando anche in territori diversi. Ho appena saputo che a Roma vogliono fare una casa latino-americana e mi vogliono incaricare di sponsorizzare anche la musica latino-americana, che peraltro è molto importante, da Cuba al Messico. Il mio compito è quello di fare chiarezza».

Sono nato il 9 marzo del 1988. Mia madre racconta che in ospedale tutti erano incollati alla televisione per seguire l'ultima puntata di “Indietro tutta”, programma che coniugava in maniera intelligente - e mai volgare - satira e divertimento. Perché quel modello di televisione non è stato più riproposto? (Nino Fazio)

«“Indietro tutta” nacque quando finì "Quelli della notte", in cui c’erano dieci straordinari improvvisatori, da Riccardo Pazzaglia a Marisa Laurito, a Simona Marchini a Massimo Catalano. Poi ce n'era uno in particolare che si chiama Nino Frassica, messinese. La verità è che io sapevo che dopo il successo di “Quelli della notte” straordinario, con la gente che ci aspettava fuori, non si poteva bissare. Però confidai in questo ragazzo che era veramente un grande lavoratore. C'incontrammo e venne fuori “Indietro tutta”. Perché non l'ho fatto di nuovo? Perché non ho incontrato un altro Frassica. Come vedi lui dura ancora perché è un grande lavoratore ed è un teorico dell'umorismo. Adesso è difficile trovare improvvisatori. Tutto quel che è nato dopo è recitato. Benissimo, perché alcuni son bravissimi, per carità, ma tutto è scritto e recitato. Noi improvvisavamo: oggi se non hanno il copione non funziona».

La tv ti snobba o sei tu che non vuoi tornarci? E perché? (Giuseppe Russo)

«No è la tv che mi snobba. Perché la tv è formata da persone che sono in politica, che non sono entrate in tv per concorso come abbiamo fatto io e Boncompagni, ma per altri meccanismi e quindi hanno pure il gusto di snobbare alcuni di noi che sono professionisti, come il mio amico Pippo Baudo. Poi c'è anche un po' il pregiudizio perché dicono: “Quello ormai ha detto la sua” e quindi non vengono ai concerti. Quando ci vengono e capiscono che non sono rimbambito allora mi chiamano. Certo, anch'io quando avevo 50-60 anni pensavo che quelli di 70... Io non posso fare la televisione come la fanno tutti. Devo mantenere il credito che ho conquistato con il pubblico».

Qual è la canzone che più la rappresenta come uomo e come artista? (Paola Mastrojeni)

«Io ho due grandi passion: il jazz e la canzone napoletana. Per il jazz “Polvere di stelle”, una canzone bellissima, che mi ha introdotto al jazz. E per la canzone napoletana io penso che una delle più belle, forse la più bella è “Era de maggio”. Ineguagliabile. Ci sono dei periodi nella storia della musica. I brasiliani li hanno avuti negli anni 50-60, gli inglesi con i Beatles, i Rolling Stones negli anni 60. E i napoletani li hanno avuti agli inizi del '900».

Lei è l’inventore della “donna parlante” in tv: qual è la canzone che descrive la donna mediterranea odierna, forse Malafemmena cantata insieme con Proietti? (Damiana Oteri)

«Quello con Gigi Proietti fu uno scherzo: una vergogna terribile! Pensa che stava in platea Bettino Craxi. E io mi dovevo vestire da donna e fare lo sketch con Proietti. Le donne parlanti furono inventate perché prima che io facessi “L'altra domenica” le ragazze in televisione facevano solo le vallette. E solo due giornaliste: una faceva la moda e l'altra un po' di costume come Enza Sampò. E allora io dissi che volevo prendere tutte le ragazze per fare le giornaliste. E presi Isabella Rossellini, Milly Carlucci... Ci sono canzoni per le donne meravigliose: Edith Piaf ha cantato “La via en rose”, “Je ne regrette rien”, bellissime storie di donne che hanno vissuto passioni meravigliose. Per me una cantante che dev'essere rivalutata perché ha cantato da donna con grande sensibilità è Gabriella Ferri, e la sua canzone “Sempre”».

Essendo anch'io musicista penso che la musica significhi emozione, passione, sentimento. Lei e l’orchestra italiana, che girate il mondo, pensate di riuscire a far giungere chiaro e forte il messaggio di italianità, ovvero patriottismo, nostalgia e amore, o sono secondo voi ideali che sono scomparsi per sempre? (Gregorio Paviglianiti)

«Io penso che più che la mente per la musica ci vuole il cuore. Raccomando sempre ai miei cantanti una canzone napoletana, “La canzone a Chiarastella”, che mi fece ascoltare Murolo e dice: “Ogni motivo tene o riturnello che come fosse lu pierno, ca tanto è cchiù azziccusu e bello quannu acchiù cuntene espressione”. Io avrò sentito 5-6 mila volte Murolo cantare “Reginella”, ogni volta lui era proprio quello lì che era andato a Toledo e aveva incontrato la sua vecchia storia d'amore. Era vero».

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Foto di Piero Calderone

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