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Veltroni sulle tracce del padre

Veltroni sulle tracce del padre

WALTER VELTRONI, 'CIAO' (RIZZOLI, pp. 252 - euro 18,50). "Oggi potrebbe essere mio figlio, mio padre", scrive Walter Veltroni all'inizio di questo romanzo in cui recupera e ricrea il suo mancato rapporto col padre Vittorio, morto a 37 anni nel 1956, quando lui aveva un anno. Un'invenzione letteraria, il racconto di un incontro impossibile, ma che rivela tutta quella verità che solo la letteratura può dargli, quando nasce da un bisogno vero, intimo e reale. Un gioco mentale, una materializzazione poetica sul pianerottolo di casa, al ritorno dal Parco dei Daini di Villa Borghese, luogo di ricordi legati ai giochi infantili e poi di ragazzo, in un caldo e deserto ferragosto romano. E i ricordi di vita personale, di spensieratezza e di impegno politico, di letture e film, di episodi famigliari e pubblici, si intrecciano così con quelli dell'Italia precedente la sua nascita, quelli del padre che apparteneva alla generazione tanto invidiata perché era stata capace di cadere e risorgere, di liberare l'Italia e di ricostruirla con entusiasmo e fiducia. Del resto la parola chiave è "sognare", saper credere nell'impossibile. Parola che è nell'ultima frase del padre prima di morire e che ha segnato e sostenuto la voglia di far politica del figlio, come confessa lui stesso, raccontando quanto oggi si sia persa la speranza del futuro, non si sorrida più, si diffonda la violenza. Ecco allora a contrasto, senza nostalgie o recriminazioni, a dare un senso che possa riaprire una strada verso il domani, una storia piena di fermenti, l'Italia anni '60 del giovane Walter e quella del decennio precedente di suo padre Vittorio, uno dei padri dell'informazione radiofonica, del Gr Rai. Una storia che fa da cornice e dà corpo a una resa dei conti personale e rasserenante che, non a caso, coincide col ritiro dalla politica attiva dell'autore: "La politica vera è bellissima (....) Per me è stata una insostituibile avventura intellettuale e morale, un viaggio, una messa alla prova. A un certo punto, in quella forma, doveva finire. E l'ho fatta finire". Presente e forte è la figura della madre Ivanka, rimasta sola ad allevare i due figli piccoli, ma ad essere centrale è ovviamente il tema della paternità, legato poi all'invecchiare, cose con cui lo scrittore, padre di due figlie amatissime, negli anni si misura senza avere avuto un modello cui rifarsi. E nel libro, in quattro pagine di "Che mi chiedessi...", "Che mi guardassi...", "Che mi rimproverassi...", è l'elenco di tutto ciò che di quotidiano e meno è mancato a Walter non avendo avuto il padre, segnato dal suo essere orfano, dalla concretezza della mancanza: "Non si è figli all'anagrafe, lo si è nella vita. E le nostre si sono sfuggite". Però, e qui si da loro gran risalto, le radici sono rimaste le stesse, persino il quartiere e la casa, oltre alla vita esemplare del nonno materno Ciro Kotnik, morto anche lui giovane per le torture subite a Via Tasso. Il libro, scritto con una semplicità di grande immediatezza, è frutto anche di una lunga ricerca, di foto, lettere, biglietti, articoli (a cominciare da tutti quelli del Radiocorriere dedicati al padre, personaggio vivace e attivo tra scrittura creativa e giornalismo, amato dal pubblico, di cui si raccontano anche le vicende personali), cercati, letti e conservati nell'arco di una vita, anche interrogando tutti i colleghi e gli amici del padre, da Zavoli a Ameri, da Gigliozzi a Martellini, come da Scola a Sordi e Mike Bongiorno: "Scavando nel ricordo che di te hanno gli amici, nelle cose che hai fatto, nel modo in cui lavoravi, in quelle che ti divertivano, nella descrizione del tuo carattere, io ora ti ho ritrovato. Ora forse siamo, per la prima volta, padre e figlio. Ci stiamo rispecchiando e ci stiamo riconoscendo. Io so cosa ho di te e tu credo veda il tuo segno in me". (ANSA)

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