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La Sicilia delle rughe, la Sicilia delle forme nette

La Sicilia delle rughe, la Sicilia delle forme nette

Il saluto del prof. Mario Bolognari.

Magnifico Rettore, senatrici e senatori, colleghe e colleghi dell’Ateneo di Messina, cari studenti, signore e signori,
sono molto onorato di poter rivolgere a voi un saluto a nome del Dipartimento di Civiltà antiche e moderne, dipartimento al quale afferisce il Dottorato di ricerca in Scienze storiche, archeologiche e filologiche che oggi conferisce il titolo accademico honoris causa. Oltre che onorato, sono anche felice di porgere il benvenuto al candidato, il maestro Giuseppe Tornatore, nell’Aula Magna di un Ateneo di tradizione e di prestigio, fondato nel 1548 e distintosi per essere stato un luogo privilegiato per gli scambi tra culture diverse, al centro del Mediterraneo.
Desidero manifestare l’orgoglio di rappresentare un dipartimento nel quale, all’interno di un saldo ancoraggio alla grande tradizione umanistica italiana, è possibile innestare innovative prospettive didattiche e di ricerca, che trovano simboliche espressioni in iniziative come quella odierna.
Ho avuto modo di esprimere il mio personale apprezzamento, unitamente a quello di tutto il corpo docente e della componente studentesca, al prof. Vincenzo Fera, coordinatore del dottorato, e al collegio dei docenti dello stesso. Si tratta del riconoscimento della qualità dell’intellettuale, della raffinatezza dell’artista e, lasciatemelo dire, dell’etica di un figlio di questa terra. Infatti, benché autore cosmopolita, in una parte non secondaria della sua opera, Tornatore ha saputo rappresentare la Sicilia, affrancandola dagli stereotipi che le aveva cucito addosso il cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta e dandole la profondità storica e la problematicità culturale di una terra complessa, contraddittoria e multiforme. Ha descritto la Sicilia delle rughe contadine e della espressività dialettale mutuata da quel grande poeta che è stato e resta Ignazio Buttitta; ma anche la Sicilia delle forme nette e dei colori accesi del linguaggio pittorico chiaro ed essenziale di Renato Guttuso. Non a caso due concittadini di Tornatore, critici della società del dopoguerra, artisti impegnati sia a livello locale, sia a livello transnazionale. La biografia familiare di Tornatore, del resto, non gli consentiva di dimenticare il conflitto sociale, l’aspirazione al cambiamento, la sofferenza della lotta per la terra, il lavoro, la giustizia. Il personaggio che in Nuovo Cinema Paradiso, prendendo atto dell’impossibilità di farsi spazio nel suo paesino, carica famiglia e masserizie sull’auto per emigrare, lasciando la piazza di Giancaldo con invettive amare e rabbiose, narra un passaggio storico di altissimo valore civile e politico.
Per deformazione professionale non posso trascurare alcuni lavori giovanili del maestro, come il documentario sul carretto e l’altro sulle minoranze etniche. Ancor di più, il geniale montaggio de Lo schermo a tre punte, nel quale, con straordinaria potenza evocativa, alla fine del secolo scorso Tornatore sottopone a una mirabile critica culturale il cinema italiano che aveva creato stereotipi e generato pregiudizi sulla Sicilia. Questa sensibilità socio antropologica, che non negava il male, ma ne denunciava l’uso strumentale, mi affascina e credo e cha sarà ripresa nella laudatio del prof. Fera.
La proiezione, poi, su tematiche e ambientazioni che possiamo definire universali, resta come cifra poetica che riflette le qualità di uno studioso – un vero dottore di ricerca – che spende la sua attività a ricostruire, indagare, capovolgere realtà, opinioni, atteggiamenti, sensazioni e sentimenti che restano nella storia del cinema e della vicenda culturale dell’Italia e del mondo. L’amore per il cinema e per l’immagine, come dispositivo che incanta e affascina, hanno conferito una forza poetica a sequenze rimaste nella nostra memoria.
Non va trascurato il fatto che Tornatore non è soltanto un autore e regista cinematografico, ma uno scrittore, un produttore, un promotore di nuovi talenti, in definitiva un operatore culturale a tutto tondo, nella ricerca dell’integrazione tra settori diversi della riflessione intellettuale e dell’organicità di un pensiero contemporaneo, al servizio di una crescita complessiva della società e dei suoi membri.
Consentitemi di aggiungere, infine, una nota personale. Ho avuto il privilegio di conoscere Peppuccio agli inizi degli anni Novanta, quando, fresco di Oscar, ricordava sempre con gratitudine il ruolo che Messina, città di antica passione e competenza cinematografica, aveva avuto nella valorizzazione del suo secondo fortunato film. Forte di un incontro che si era rivelato di grande simpatia e intesa, qualche anno dopo gli proposi un incarico che lo riconducesse a casa, nella nostra Sicilia. Non fu possibile e, però, egli mi aiutò a trovare una soluzione alternativa, che si rivelò felice. Potei stimare, in quegli scambi di idee che avemmo a Roma con l’amico Ninni Panzera, quanto dicevo prima, un’attenzione alla politica culturale, al voler sempre applicare il proprio impegno non soltanto al prodotto artistico in sé, ma anche alla crescita e alla salvaguardia del contesto complessivo nel quale esso nasce, compresi gli aspetti finanziari a sostegno delle attività culturali, che può produrre risultati di eccellenza.
Mi piace immaginare che, prima o poi, il maestro torni a casa e ci aiuti a fare ciò che egli sa fare con indicibile bellezza: narrare noi stessi, con la coscienza critica che la narrazione in sé contiene e con la poesia che deve farci sognare un futuro di riscatto.

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