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Così trovai l'amore nel campo di prigionia

Così trovai l'amore nel campo di prigionia

SIBARI - Nonostante l’atrocità delle leggi razziali e le persecuzioni riuscì a trovare l’amore nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, nel Cosentino, dove trascorse poco più di un anno della sua vita. È la storia di una donna ebrea austriaca, Edith Fischhof Gilboa, di 92 anni, tornata in Calabria in occasione del Giorno della Memoria per raccontare alle nuove generazioni come quegli anni di persecuzione le hanno «rubato una parte della vita». Edith è tornata in Calabria per presentare il suo libro “Colori dell’arcobaleno sul mare” e per incontrare gli studenti della scuola “Zanotti Bianco” di Sibari, che farà parte della Rete scuole Unesco proprio grazie a un progetto sulla Shoah – presenti, tra gli altri, il dirigente scolastico Rosanna Rizzo, il presidente della Fondazione Museo della memoria Ferramonti Franco Panebianco, il dirigente Atp Cosenza Luciano Greco – ai quali, per il Giorno della Memoria, ha raccontato la sua vita e le sue esperienze.
Negli anni dell’infanzia Edith – che è stata intervistata dalla prof. Fortunata Milone – viveva in Austria da dove fu costretta a fuggire, assieme alla famiglia, per colpa delle leggi razziali. Giunta in Italia, dopo alcuni anni, fu internata nel campo di Ferramonti di Tarsia.
«Non ho vissuto la mia gioventù – racconta – e le atrocità patite in quegli anni mi hanno segnato per tutta la vita. Le leggi razziali e le persecuzioni mi hanno rubato una parte della vita, quella della spensieratezza, dell’amore, dell’allegria. Sono cose, queste, che dopo più di 75 anni, più di tre generazioni, fanno ancora male».
Edith entrò a Ferramonti nella primavera del 1941, quando aveva 18 anni, e ne uscì un anno dopo, nell’inverno del 1942. Nel campo di internamento, nonostante le difficoltà, la donna trovò l’amore. «Malgrado il mio guardaroba scadente e gli zoccoli ai piedi – racconta la novantaduenne – trovai anche l’amore. Mi innamorai di Wolf, un prigioniero tedesco di 20 anni, studente di filosofia. Non era un fusto, ma si presentava bene. Aveva riccioli neri e un sorriso affascinante. Nel campo non potevamo incontrarci, ma Wolf, dopo alcune ricerche, riuscì a trovare un angolo nascosto dove vederci. Abbracci e baci. Eravamo felici, vivevamo la nostra gioventù».
Il racconto di Edith diventa triste quando ricorda che ad un certo punto «una luce abbagliante, puntata in faccia, interruppe le nostre effusioni. Una guardia ci scovò. Riuscimmo a fuggire e io rientrai nella baracca infelice e triste. L’amore per Wolf continuò, ma solo in forma platonica».
Nella memoria di Edith si alternano ricordi di Ferramonti di Tarsia «Nel campo – racconta – c’erano bambini che avevano fame e tante mamme che non potevano allattare. Grande fu la solidarietà di alcune guardie e, soprattutto, della popolazione di Tarsia che più volte venne ai cancelli a portarci da mangiare. Anch’io fui aiutata più volte da persone che sapevano benissimo di andare incontro a grossi pericoli, eppure mi aiutarono».
Per Edith Fischhof Gilboa una nuova Shoah non è più possibile. «Allora – dice – nessuno sapeva cosa succedeva non solo nei campi ma anche nelle singole nazioni. Oggi, invece, le notizie viaggiano in tempo reale».

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