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Io, cinico e malinconico

Io, cinico e malinconico

Roberto Gervaso compie oggi 80 anni. Scrittore prolifico e fluviale – autore dei primi sei volumi della Storia d’Italia con Indro Montanelli, e poi di un’altra trentina di saggi, 7 biografie, 12 raccolte d’interviste e un romanzo – ma anche epigrammista fulminante. Astratto dal presente, immerso nei classici («in questi giorni pascolo gli armenti in villa, e leggo Virgilio» mi dice), ma anche istrionico, con un lato nettamente narciso ed esibizionista. Senechiano ma libertino. Innamorato delle donne, tutte, ma legatissimo all’adorata, e adorante, moglie (siciliana di Palermo). Ho conversato con lui (in purissimo stile gervasiano, ovvero una sticomitia) nel tentativo di fargli accettare – anzi dimostrare – la mia personale tesi, che lui sia sostanzialmente un ossimoro letterario, e forse esistenziale, ma sono riuscita solo a patteggiare: non ossimoro («È una contraddizione apparente»), ma paradosso («Una verità acrobatica, ma una verità»). Come omaggio per i suoi 80 anni gli offro dunque un neologismo: paradossimoro. E non se parli più, o meglio sempre.
Partiamo dalle donne, di cui lei ha sempre parlato, «i diavoli senza i quali la vita sarebbe un inferno». E questa è una dichiarazione d'amore.
«Assolutamente. Io le donne le ho amate e desiderate tutte. Poi di alcune mi sono innamorato».
Dietro ogni grande uomo c'è una grande donna...
«Dietro ogni grande uomo c'è una grande donna di un altro».
Davanti alla signora Vittoria Gervaso chi c'è?
«Mia moglie è la donna più bella che io abbia mai visto. Quando l’ho conosciuta era prima indossatrice di Valentino, un misto tra Ava Gardner e Jennifer Jones. Con me si comportava con estrema dolcezza e tenerezza. Sembrava un coniglio d'angora. Poi è diventata una volpe, adesso è una tigre».
Le donne, tutte, e l’amatissima moglie. Un altro ossimoro?
«Sono stato un marito fedelissimo all’infedeltà».
E cos'è l'infedeltà?
«Cos’è la fedeltà: un forte prurito col divieto di grattarsi».
Il sesso logora chi non lo fa?
«Il sesso logora chi non ce la fa».
Il sesso è sopravvalutato?
«Solo da chi lo fa bene. Il meglio di una donna, o anche di un uomo, si vede nel peggio che dà a letto. In realtà è il pepe, il peperoncino, lo zenzero. Ma non è più un mio problema; sono stato operato a 63 anni e da allora ho raggiunto la pace dei sensi. Ma prima avevo cercato di onorare l’altare di Venere con tutte le donne. Tutte, le ho amate tutte. Mi piacevano tutte: bionde, brune, rosse, giovani, anziane. Sono innamorato della donna. In questo senso sono ovidiano. Il sesso per me è stato fondamentale. E il migliore è stato con donne che non amavo: forse il sentimento frena in qualche modo i sensi. La sensualità non va d’accordo col romanticismo».
Romanticismo. Lei, tra i tanti altri, ha scritto anche un libro sulle canzoni, “Parlami d'amore Mariù”. La sua canzone preferita?
«Sono tre: Fumo negli occhi, Polvere di stelle e Blue Moon».
Non sono titoli: è una dichiarazione programmatica.
«Forse sì».
Aggettivi o avverbi?
«Aggettivi, ma bisogna stare attentissimi. Montanelli mi disse: la frase è composta da soggetto, predicato verbale e complemento preferibilmente oggetto. Se vuoi metterci un aggettivo, chiedi prima a me».
Vizio e virtù preferiti?
«Quando ero ragazzo, il vizio solitario. Oggi, essere un po' troppo dipendente dai farmaci. Quanto alle virtù... sono leale, dico pane al pane e vino al vino, non scendo mai a compromessi disonorevoli e credo, tutto sommato, di essere abbastanza socievole».
Resuscitiamo qualcuno. Chi?
«Aspetterei un po' e resusciterei me stesso».
La morte le fa paura?
«Il morire come sofferenza, ma non la morte come mistero».
In che epoca le piacerebbe vivere, anche solo per un po'?
«Nella Roma di Augusto, al tempo di Virgilio, Orazio, Mecenate. Oppure nell’Alto Medioevo, facendo vita di corte, o nel raccoglimento dei chiostri. Io in realtà sono un trappista. Ma mi piacerebbe anche vivere nella Francia del Settecento».
Lo vede che è un ossimoro? Un libertino e un trappista.
«Ma perché, non esistono trappisti libertini?».
Probabilmente. Ma lei sarebbe un libertino trappista, che non è la stessa cosa.
«In effetti».
80 anni. Un aforisma sull'età?
«L’amore senile comincia col matrimonio».
Gervaso è eterno finché dura?
«Aspiro all'eternità solo per aver fatto il mio dovere. In effetti ho pronte due epigrafi per la mia tomba. La prima è: “Qui giace Roberto Gervaso, fece sempre il proprio dovere”. La seconda è: “Qui giace Roberto Gervaso, che ancora stenta a crederci”.
Crede nell'eternità?
«Non lo so. Sono laico, agnostico, ma deista. Credo che ci sia un architetto, o un ragioniere, o un geometra...».
Considerato quel che hanno fatto ai paesaggi italiani i geometri, meglio di no...
«Diciamo un demiurgo. Detesto tutti i dogmi e le ideologie, non credo nei testi sacri né nelle verità rivelate».
Anche perché se sono rivelate che gusto c'è a svelarle...
«Diciamo che sono uno spirito religioso, ma non dogmatico».
“La mosca al naso”, “La pulce nell’orecchio”, “Il dito nell'occhio”: è la sua idea di giornalismo?
«Sono titoli. Diciamo che non avevo più organi decenti per un altro titolo così...».
Cosa odia?
«L’ipocrisia».
Come si definirebbe?
«Un malinconico. La malinconia è una lacrima sul male».
Quello è il coccodrillo. Lei è ancora un cinico?
«Io sono un cinico, ma non un cinico crudele, piuttosto un realista, che vede le cose esattamente come stanno».
Che è una cosa che di rado mette di buonumore. A proposito di tono dell'umore: ha davvero ucciso il “cane nero” o quello con la depressione è sempre un armistizio?
«Sto passando giorni di depressione, per ora. Non in forma drammatica, certo, come nel passato, ma non sono sereno».
Parliamo di biografie: Nerone, i Borgia, Cagliostro, la Monaca di Monza. Se non sono grandi e magnificamente disturbati non le interessano. O sono un po’ tutte autobiografie?
«Il biografo è attratto dal personaggio negativo. Non potrei mai scrivere la vita di Sant'Antonio. E forse in ciascuno c'è qualcosa di me. In Casanova il mio amore per le donne. In Cagliostro il talento pubblicitario; in Gertrude la libidine; tra i Borgia, nel papa la mancanza di fede, che si traduce in un grande potere temporale, e poi la spregiudicatezza; di Lucrezia solo la cefalea, di cui lei soffriva, diceva per i capelli troppo lunghi. Io non ne ho, e soffro lo stesso. In Nerone l’istrione, il cantante, l’uomo di spettacolo. E comunque non dimentichiamo che negli anni in cui fu guidato da Seneca fu un ottimo governante».
E lei ha anche un lato senechiano, Seneca ha un bel posto nel suo pantheon letterario ed etico...
«I miei più grandi maestri del passato sono stati Voltaire, che mi ha insegnato a parlare e a scrivere, e Seneca, che mi ha insegnato a vivere con saggezza».
E del presente?
«Montanelli, Prezzolini, Buzzati».
Lo stivale è ancora zoppo, oppure ormai l’Italia è scalza?
«Ormai non c'è più tomaia, suola, nulla. Piedi nudi, pure sporchi».
Lei ha definito gli italini “pecore anarchiche”: un altro ossimoro. Chi è il pastore?
«Un gregge in cui ognuno è il pastore di se stesso».
Dalla torre chi buttiamo: Berlusconi, Grillo o Renzi?
«Berlusconi no perché è un mio grande amico; Grillo lo butterei su un teatro, perché è un comico formidabile; Renzi è un mix di Giamburrasca, Capitan Fracassa, Don Chisciotte e il Dottor Stranamore».
Infine, la domanda più importante: tutti le parlano dei suoi, bellissimi invero, papillon. Parliamo invece dei calzini: guardagli i calzini, e capirai tutto di un uomo. È d'accordo?
«Io porto le calze lunghe col reggicalze».
Poteva esserci conclusione migliore?

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