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Francesca Michielin fa... 2640

Francesca Michielin fa... 2640

E’ uscito il 12 gennaio scorso “2640” (Sony Music), il nuovo album di Francesca Michielin, anticipato dai singoli “Vulcano”, disco di platino, e “Io non abito al mare”. Un lavoro autobiografico ove la cantante veneta racconta l’esperienza e la visione del mondo maturata negli ultimi due anni, composto assieme ad autori del calibro di Tommaso Paradiso, Calcutta, Dario Faini e Cosmo. La Michielin ha incontrato i fans per l’instore tour del disco a Catania, dove tornerà il 31 marzo prossimo con un concerto a La Nuova Dogana. Oggi invece è stata a Palermo. L’abbiamo raggiunta per saperne di più.
“2640”. Un titolo singolare. Cosa rappresenta nell’ottica del disco?
“2640 è l’altitudine di Bogotà, di cui parlo nella prima traccia del disco “Comunicare”. Ho scelto questo titolo perché Bogotà è il posto dove sono stata un anno fa per fermarmi e riflettere. Nell’ottica dell’album rappresenta il rapporto con la montagna e l’America Latina, con tutti i suoi problemi sociali. Nel brano ””Bolivia”, ad esempio, c’è una critica al volontariato di facciata attraverso la storia di una ragazza che vorrebbe andare in quel paese pensando di poter cambiare il mondo, mentre in realtà cerca solo di fuggire da se stessa, e quindi dovrebbe fare un lavoro su di sé. Con questo pezzo ho voluto citare specificatamente la Bolivia perché da lì vengono prodotti alimentari come anacardi e avocadi, che consumiamo quotidianamente senza renderci conto dei problemi che ci sono dietro la produzione di semplici frutti. E’ stato un modo per accendere una luce su una nazione non molto considerata, ma a stretto contatto con noi“.
Il richiamo al Sud America, ma anche all’Africa, al soul e all’elettronica, si percepiscono anche nelle sonorità del disco. Perché questa voglia di sperimentare?
“I testi stessi lo richiedevano proprio perché spaziano tra argomenti diversi; ma è stato anche l’amore per l’America Centrale e l’Africa a far sì che io richiamassi questi continenti anche dal punto di vista sonoro”.
Oltre all’impegno di “Bolivia” e al testo inglese di “Lava”, ci sono fra le tracce dell’album anche la metafora calcistica de “La serie B” e la dedica ad Alonso nel brano omonimo. Come sono nate?
“Ho usato questa metafora perché il sentimento calcistico è molto passionale e dà gioie e delusioni, quindi può facilmente associarsi metaforicamente alle relazioni umane più turbolente. Ho scritto ”Alonso” perché lo seguo e lo ammiro profondamente da quando ero piccola. L’ho sempre considerato un esempio di grande forza e tenacia”.
L’album è autobiografico e racchiude il tuo percorso umano degli ultimi tempi. Come sono stati questi due anni dopo Sanremo?
“Il percorso che mi ha portato al disco è stato un turbine di avvenimenti, perché a parte l’Eurovision e il secondo tour, c’è stata la scrittura dell’album che è stata un po’ travagliata, ma molto fluida nell’intento comunicativo. E’ stato un periodo intenso e tosto per me, in cui mi sono messa molto in gioco. Ho cercato di raccontare tutto nel disco, dove si può trovare il risultato di ricerca interiore, ascolto e molti viaggi. Ma l’incontro è la parola chiave di tutto: la comunicazione vera e propria si può stabilire solo attraverso un incontro reale”.
Le figure geometriche raffigurate nella copertina non sono semplice design, ma coerenti con i contenuti dell’album. Quale il loro significato?
“Rappresentano un vulcano, un mare e una montagna, perché i brani del disco sono vulcanici, marini e montani, non soltanto come riferimenti geografici, ma a livello di concetti e di intenti: il vulcano è esplosivo e diretto come la comunicazione del disco, il mare richiama l’ascolto e il sentire è espresso in “Io non abito al mare”. La montagna rappresenta l’altitudine e l’immaginazione che ci sono in “Bolivia”, ma simboleggia anche il Veneto, mia terra di origine”.

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