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È morto Charles Aznavour, ultimo chansonnier francese

Charles Aznavour

L’ultimo amico che era andato a trovarlo, ieri pomeriggio, l’aveva trovato allegro e disponibile: «L'immagine che mi è rimasta quando l’ho lasciato ieri sera - ha raccontato l’attore e cantante Michel Leeb - è lui che scoppia in una gran risata».

A 94 anni, 70 di carriera, 180 milioni di dischi venduti, 1.300 canzoni, 80 film e un’energia che lo portava ancora ad incantare con la sua voce atipica dai palchi di tutto il mondo, se n'è andato Charles Aznavour, l’ultimo chansonnier della grande tradizione francese. E’ morto nel sonno, nella sua casa di Mounes, nelle Alpi del sud della Francia, il luogo in cui amava raccogliersi e riposarsi dopo i suoi tour mondiali. Le cause non sono state individuate, domani sarà praticata un’autopsia.

«L'istrione», dal titolo di uno dei suoi più grandi successi, stava bene, era in forma, era allegro. Era stato appena protagonista di due concerti in Giappone e stava per ripartire con un tour in Francia. Ogni tanto era costretto ad annullare qualche data, da anni - durante le esibizioni - una poltrona era accanto a lui in scena e, sempre più spesso ne approfittava fra un pezzo e l’altro. Negli ultimi mesi si era fermato per un colpo della strega e, di recente, per una frattura al braccio.

Il grande Aznavour si chiamava in realta Aznavourian, ed era nato da genitori armeni che erano immigrati in Francia ma soltanto di passaggio, in attesa del visto per gli Stati Uniti. Ed era un uomo basso, 1 metro e 60, con un fisico che non lo aiutava e una voce roca, atipica: «Sul versante dei critici - raccontò una volta ripercorrendo i suoi esordi - ero stato ben servito: brutto, piccolo, dissero anche che non bisognava lasciar cantare gli infermi».

All’Armenia è rimasto legatissimo per tutta la vita, ma nessuno era più francese di lui, come ha ricordato oggi il presidente Emmanuel Macron: «profondamente francese, attaccato visceralmente alle sue radici armene, riconosciuto in tutto il mondo, ha accompagnato le gioie e i dolori di tre generazioni. I suoi capolavori, il suo timbro, il suo carisma unico, vivranno a lungo».

Tre mogli e sei figli, colui che era noto nel mondo come «il Sinatra francese» era conscio che - visti gli inizi a dir poco difficili - la sua era stata una «carriera insperata». Cominciò da attore, nel cinema e al teatro, una passione che lo portò ad interpretare in seguito moltissimi film, fra i quali «Tirate sul pianista» di Francois Truffaut, «Viva la vita» di Claude Lelouch e «Alta infedeltà» (film italiano a episodi), «I fantasmi del cappellaio» di Claude Chabrol. Ma fu l’incontro con Charles Trenet ed Edith Piaf, che lo portò in tour con la sua orchestra, a dargli l’impulso decisivo. Anche se la Piaf rifiutò di cantare la sua «J'hais les dimanches», poi eseguita invece da Juliette Greco. «Sur ma vie», a metà degli anni Cinquanta, lo fece scoprire al grande pubblico. Qualche anno dopo si affermò ancora con «Je m'voyais déjà».

Nel 1963 la consacrazione internazionale alla Carnegie Hall di New York, poi l’impegno sociale con "Mourir d’aimer» (ispirata al suicidio di un’insegnante innamorata di un allievo, nel 1969) e «Comme ils disent», che racconta l’omosessualità. I suoi più grandi successi furono cantati da giganti della musica mondiale - da Ray Charles a Fred Astaire a Bing Crosby - ma un rapporto speciale Aznavour lo ebbe con l’Italia, cantando egli stesso in italiano (parlava 8 lingue) alcuni dei suoi pezzi più celebri, da «Ed io tra di voi» a «Com'è triste Venezia», da "Devi sapere» a «Dopo l’amore». Era ospite quasi fisso dei varietà televisivi della Rai negli anni Settanta.

L’unica parentesi spiacevole di una carriera che gli stesso ha definito «insperata ma esemplare» fu una vicenda di evasione fiscale che gli costò una condanna nel 1977, seguita da una lunga polemica con le autorità francesi chiusa da una decisione di non luogo a procedere da parte della giustizia.

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