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Le eredità fan girare il mondo

La Divina in Blu, Giovanni Bolzini

Un’ossessione lunga più di un secolo, una storia di eredità che attraversa più generazioni di una famiglia, dal tardo Ottocento a oggi. Tutto, nel romanzo “L’eredità” di Ludina Barzini (Bompiani), inizia quando Rosa Bagnasco, di famiglia alto-borghese, sposa Filippo, primogenito ed erede di una nobile ricca famiglia. Ma quando Filippo muore ancora giovane, lasciando Rosa vedova con due bambini e destinata ad amministrare i beni di famiglia, s’innesca un meccanismo ossessivo che di matrimonio in matrimonio, di figlio in figlio, richiama altre ricchezze, un accumulo di beni gestiti dalle donne di famiglia, da Rosa a Isabella, a Livia. Vite dorate, in un’Italia tre le due guerre e un regime, tra palazzi, libri e quadri preziosi, oggetti d’arte, incunaboli, gioielli esclusivi, pellicce e abiti da sogno, viaggi, da Genova a New York a Londra a Roma, e residenze di lusso; e tuttavia vite tormentate da terribili conflitti nati dall’interesse. Per il quale non si esita a portare le madri in tribunale, a uccidere, a ingannare e a essere ingannati.

Ludina Barzini, giornalista ed “erede” di una famiglia di giornalisti, con il nonno Luigi senior che, tra le altre cose, scrisse pagine indimenticabili sul terremoto del 1908, e il padre Luigi junior, firma prestigiosa del dopoguerra, ha lavorato all’“Espresso”, al “Corriere della Sera” e alla “Stampa”. Ha condotto programmi radio per Rai Uno e Rai Sat Premium ed è stata assessore alla Cultura a Milano. È Grande Ufficiale della Repubblica e ha pubblicato “I Barzini. Tre generazioni di giornalisti, una storia del Novecento” (Mondadori), e nel 2016 il suo primo romanzo “Solo amore” (Bompiani). Abbiamo parlato del suo nuovo libro.

Come è nato questo romanzo? Da un’esperienza vissuta o da una riflessione?

«Avendo fatto la giornalista per più di 40 anni, ho sentito tante storie e visto tante situazioni, che tenevo nella mente e nella penna. Quando poi sono andata in pensione quel che era nella penna è diventato romanzo. E questo è il mio secondo romanzo che ho voluto costruire, come è evidente dal titolo, attorno ad un tema fondamentale: l’eredità. Perché credo che da sempre, in tutte le famiglie e in tutti i contesti, le questioni ereditarie siano vitali ed attuali. È in fondo una questione di soldi, ma il denaro ereditato è diverso da quello guadagnato e si presta a quella riflessione che ho fatto diventare un romanzo».

Di solito si dice che pochi soldi causano problemi e malattie. Ma qui sono i troppi soldi a farlo. Un paradosso?

«Pochi o tanti, i soldi non bastano mai. Per motivi opposti causano problemi. Ma forse, ed è qui il paradosso, sono i troppi soldi che causano più problemi. Quello che scatta nella mente di chi eredita grandi fortune o semplicemente una casa, magari sentendosi defraudato rispetto agli altri eredi, mi affascina. Si arriva, come sappiamo, a finire in tribunale, a diventare nemici, ad uccidere. Terribile quel che l’eredità scatena negli esseri umani, fa emergere conflitti sopiti, mette in moto vendette. E soprattutto mette in discussione e mostra mancanza di rispetto verso la volontà di chi è morto».

Lei racconta un mondo di nobili e di alto-borghesi. Perché questa scelta?

«La scelta di un mondo alto-borghese e nobiliare è in relazione alla presenza di ricchezze talmente grandi da mettere in moto il meccanismo perverso dell’eredità. Il denaro e i possedimenti esagerati che si ereditano sono funzionali, nel racconto, all’esasperazione dei comportamenti: l’odio verso la madre, la guerra tra fratelli. Quando c’è poco denaro, forse si potrebbe pure capire, ma quando ci sono troppi soldi l’avidità insaziabile è terribile».

E’ anche una storia di donne forti, le protagoniste Rosa, Isabella, Donata, Livia.

«È una scelta, mettere al centro della narrazione donne forti, non vittime ma vincenti. Ho visto troppe volte tante donne cedere di fronte all’avidità di fratelli e parenti. E poi spesso ho visto il mondo femminile raccontato in termini pietosi. E qui le donne le ho volute capaci di gestire l’amministrazione di patrimoni ingenti, lottare per l’emancipazione, perché il mio è anche un romanzo sulla difficoltà per la donna, in tutto il ‘900, di emanciparsi. Cosa che prescindeva dalla condizione sociale ed economica, perché anche Rosa, personaggio con il quale inizia la saga, deve lottare, a cominciare dal padre, per emanciparsi».

Ma sono donne anche affettivamente sole. Ricchezza smisurata e solitudine, secondo Lei, sono legate?

«Sono due cose abbastanza legate. Perché queste donne, Rosa di meno, Isabella di più, diventano donne di successo, di potere. E il potere, come il successo, spesso isola».

Però queste donne con le loro famiglie attraversano guerra e problemi dell’Italia godendo, complessivamente, di privilegi.

«Indubbiamente hanno tanti privilegi, ma attraversano anche dolori e problemi. Non dimentichiamo che vivono nell’età del fascismo, che colpisce duramente Isabella e la sua famiglia. Il fascismo era violenza, violenza per tutti, non bisogna stancarsi di sottolinearlo».

C’è un’altra eredità, tuttavia, nel suo romanzo, quella degli affetti che fa passare il testimone da Rosa a Isabella a Donata e a Livia.

«Sì, le lega un karma che si ripete e passerà a Livia, l’ultima della generazione, che finalmente è una ragazza moderna, una giovane dei nostri tempi che per vivere lavora, fa le sue scelte di vita. Anche se non riesce a tirarsi completamente fuori dalle questioni e dai conflitti dell’eredità, tuttavia riesce a scindere quelle questioni dalla sua vita reale. Inoltre c’è sempre, in ogni famiglia, chi raccoglie il testimone. Io, per esempio, mi occupo del patrimonio culturale della famiglia Barzini. Di carte e libri che, sono sicura, annoierebbero altri miei parenti».

L’eredità imprigiona la mente ed è rabbia, vendetta, invidia, lotta e potere, come Lei scrive. Ma nell’eredità c’è anche un desiderio di amore esaudito o di amore tradito.

«Nell’eredità c’è di tutto, c’è il bianco e il nero, c’è il tradimento e l’amore, c’è una complessità di situazioni e di sentimenti che infatti attraversano tutti i personaggi del romanzo. Io ho voluto presentare degli spaccati di realtà».

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