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Investigare e raccontare, due arti gemelle per Fenoglio-Carofiglio

Le storie non esistono se non vengono raccontate. E per costruire buone storie le parole sono importanti. Se è così, Gianrico Carofiglio, già magistrato e già impegnato nella politica come senatore per il Partito Democratico nel 2008, “inventore” del legal thriller italiano con il personaggio seriale dell'avvocato Guido Guerrieri, con “La versione di Fenoglio” (Einaudi), il suo più recente romanzo, già in vetta alle classifiche,), torna ai toni intimistici di “Le tre del mattino” (Einaudi, 2017) e affronta nuovamente l'incontro generazionale con la sua prosa cristallina, geometricamente limpida, dalle sonorità antiche, farmaco e dunque antidoto contro il diluvio verbale che ci affligge.

Misura, è la cifra di questo romanzo delicato, misura, quella cosa che ci impedisce di offendere la gente e fa parte del vivere civile, insieme alla bellezza e alla verità. S'incontrano Pietro Fenoglio, un maresciallo vicino alla pensione, appena incline alla malinconia, e Giulio, un ventitreenne colto e sensibile, che ancora non sa cosa decidere della sua vita, anche se nutre il sogno segreto di diventare uno scrittore. Si ritrovano per caso, o per una felice coincidenza, in un centro di riabilitazione dove insieme svolgono gli stessi esercizi sotto la guida vigile di Bruna, la fisioterapista. E insieme, fatto per nulla scontato per due persone di generazioni diverse, i due, per citare Borges (ricordato nel romanzo), si spartiscono il capitale delle ore trascorse insieme. Un'amicizia spontanea che fa emergere riflessioni e osservazioni: un'ora di lezione abitata dalla tensione dello scambio reciproco di storie, pensieri, suggestioni letterarie, dubbi, quotidianità, ricordi, sogni.

L'educazione consiste nel prestare attenzione agli altri e si può essere filologi ogni giorno; del resto, come ricorda Pietro Fenoglio citando Nietzsche, la filologia è l'arte di leggere lentamente, di osservare lentamente, così come lo è l'investigare. E non si parla solo di investigazione giudiziaria o di polizia, territorio proprio del maresciallo Fenoglio, ma di quell'investigazione più ampia e profonda che è la vita.

Al giovane disorientato, e forse non consapevole dei suoi talenti, Pietro insegna che la verità non è qualcosa che si porta in tasca o si tiene in pugno accendendosi come una lampadina quando serve. La ricerca della verità, del senso delle cose, è spesso un salto nel buio. E allora bisogna avere la pazienza di ascoltare, di guardare a fondo, «porsi domande» - dice Fenoglio - «su quello che si sta guardando, e più in generale, su quello che si sta percependo».

«Solo così si smette di dare le cose per scontate e si comincia a vedere davvero ciò che ci circonda»; e sicuramente «questa è anche la qualità richiesta a un bravo scrittore: registrare cose che hanno visto tutti e mostrarle come se fosse la prima volta, come se prima non le avesse mai notate nessuno». E praticare sempre l'esercizio del dubbio, il capovolgimento delle certezze e degli schemi, dei luoghi comuni e dei pregiudizi, fare attenzione al contraddittorio, pur rimanendo fermi nelle regole.

È così che il ragazzo e l'uomo si conoscono, come il padre e il figlio di “Le tre del mattino”; entrambi si misurano con il tempo, quello della maturità avanzata (per non dire dell'età anziana incipiente) di una vita piena di impegno, ma anche di qualche rimpianto, di Pietro, e quella della gioventù a tratti smarrita, da riempire di esperienze, di Giulio.

È la lezione-versione di Fenoglio, l'incontro fra generazioni diverse che diventa possibilità di fare esperienza della vita, di reinventare quel che si riceve dall'altro. Mentre la dolcezza malinconica del distacco è in agguato.

Un sorprendente romanzo che sovverte i dogmi del classico poliziesco.

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