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Nanni Moretti a Messina: "Oggi parlare di umanità diventa un atto politico"

Nanni Moretti

L'11 settembre 1973 avvenne il sanguinoso golpe militare orchestrato dal generale Pinochet contro il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, avviando mesi di perquisizioni e brutali torture contro tutti gli oppositori del regime. Nel corso dell'assedio e del bombardamento contro il palazzo presidenziale lo stesso Allende, dopo aver rifiutato il salvacondotto, morì fra le macerie. Nel corso di questo disumano frangente, l'ambasciata italiana si distinse e oggi tale risvolto è al centro del documentario di Nanni Moretti - “Santiago, Italia” - che è stato proiettato a Messina (in un doppio evento sold-out alla Multisala Cinema Apollo), introdotto proprio dal carismatico regista, la cui fama è legata a numerose pellicole con un tratto quasi profetico, fra cui “Il Caimano”, “Habemus Papam”, “Aprile”.

«Con “Santiago, Italia” - dice Moretti - ho raccontato una storia italiana di cui possiamo andare fieri. L'11 settembre 1973 l'ambasciata italiana a Santiago accolse centinaia di richiedenti asilo che scavalcarono il muro e trovarono rifugio per mesi, riuscendo, infine, ad ottenere il lasciapassare verso l'Italia. In quel momento di incertezza politica, la nostra ambasciata scelse di accogliere tutti. Non mandarono via nessuno. Volevo raccontare con semplicità una storia umana; eppure, in Italia, persino questo è diventato un gesto politico. Ma io non mi nascondo».

Un'iniziativa culturale di grande successo in città, dunque, ma non bisogna stupirsi dell'affetto del pubblico; il legame fra Nanni Moretti e la Sicilia orientale è molto forte, passando dalla realizzazione di “Palombella Rossa” (girato ad Acireale nel 1989) a “Caro Diario” (del 1993, con il capitolo dedicato alle isole Eolie) e pur negando il dibattito (diventata proverbiale la battuta «No! Il dibattito no!», ha ricordato il critico cinematografico messinese Franco Cicero, presente all'incontro), Moretti si è concesso con generosità ad autografi e selfie ai suoi numerosi ammiratori. Tutto questo in attesa del prossimo film, per il quale per la prima volta Moretti lavorerà su un romanzo, ovvero “Tre Piani”, dello scrittore israeliano Eshkol Nevo (edito da Neri Pozza).

Il documentarista Michael Moore ci ha abituati ad occupare fisicamente lo spazio dell'inquadratura. Lei, invece, stavolta ha scelto di restare dietro la macchina da presa. L'unica volta che viene ripreso pronuncia una frase significativa: “Io non sono imparziale”.

«Per realizzare questo documentario ho fatto parlare i sopravvissuti, non degli studiosi. Una scelta ben precisa, emotiva. Ma volevo raccogliere anche le opinioni dei cattivi, dei malos, quei militari che furono protagonisti del sanguinoso golpe. In Cile sono riuscito a contattarne due. Il primo trascorre una vecchiaia serena, l'altro, invece, è a Punta Peuco, un carcere privilegiato per i pochissimi militari condannati. Alla fine del nostro confronto, ho detto alla direttrice della fotografia di continuare a girare e in quel momento affermo e ribadisco “io non sono imparziale”. Del resto, come avrei potuto esserlo raccontando dei torturatori e delle vittime? Sarebbe stato decisamente una pretesa eccessiva».

Paradossalmente, dunque, oggi raccontare una storia con risvolti umani è diventato un gesto politico?

«Siamo ridotti così male che oggi in Italia il semplice fatto di parlare di umanità finisce per diventare automaticamente un atto politico. Se deve essere così, non mi nascondo. Quando ho iniziato a girare questo documentario il clima era ben diverso. Ma oggi la situazione ha preso una certa piega e un gran pezzo della società italiana ha scelto di andare in direzione opposta rispetto ai valori dell'accoglienza e della solidarietà ai rifugiati politici».

Il golpe cileno ci scosse anche per le somiglianze del contesto politico.

«Entrambi i paesi avevano la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista, il Partito Socialista, i Radicali e i consigli di fabbrica. Per questo l'Italia guardava con particolare partecipazione all'esperimento democratico del governo Allende».

Una delle sopravvissute cilene che ha intervistato, afferma: «L'Italia è una madre generosa».

«Siamo stati anche questo. Il golpe cileno accade nel '73, quegli anni sono ricordati per il terrorismo, gli anni di piombo e la lotta armata ma hanno espresso anche altre istanze. Oggi, però, l'Italia ha preso una piega diversa, rifiutando i valori dell'accoglienza».

Il suo prossimo film sarà basato su un romanzo, “Tre Piani” di Eshkol Nevo. È una scelta inedita per lei.

«Stavo lavorando su due soggetti con le mie co-sceneggiatrici Valia Santella e Federica Pontremoli, ma qualcosa che non ha funzionato e dopo averli abbandonati ho letto diversi libri, anche dei polizieschi, andando in cerca di una storia. Finché Federica mi ha suggerito di leggere questo romanzo che mi ha subito colpito».

Perché?

«Nevo parla delle nostre paure. Lo trovo molto attuale. Ma più passa il tempo, più mi risulta difficile spiegare, motivare le scelte artistiche. Però posso dire che leggendo ho subito sentito che ne avrei tratto il mio prossimo film».

Nel prossimo futuro potrebbe girare un poliziesco?

«Chissà. Tutto può succedere».

Ci sono numerose scene tratte dai suoi film che sono diventate dei tormentoni. Fra queste, la celebre telefonata - «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?» - tratta da “Ecce Bombo”. Ne è sorpreso?

«Ho fatto quel film con grande leggerezza. Era il 1978, non esistevano internet e le piattaforme, nemmeno dvd o le vhs. Semplicemente, una volta a settimana, la Rai trasmetteva dei film. In quegli anni i film avevano una lunga vita in sala e poi scomparivano del tutto. Non avrei mai pensato che “Ecce Bombo” potesse essere visto da qualcuno nato negli anni 2000 o che potessi ritrovare degli spezzoni sui social network. C'era una certa incoscienza in quel modo di fare cinema, mai avrei pensato che alcune di quelle frasi sarebbero sopravvissute, come “giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose” e che, infine, avrebbero fatto parte del costume di questo Paese».

 

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