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A tu per tu con Cristina Cassar Scalia: "Racconto la Sicilia vera con tutte le sue contraddizioni"

Cristina Cassar Scalia

Per pescare con la lampara, usando la luce per attirare i pesci nella trappola, rimanendo immobili nonostante il dondolio della barca sul mare, serve tanta pazienza. Bisogna essere più furbi della preda. Da questo assunto parte “La logica della lampara”, il nuovo libro di Cristina Cassar Scalia, la seconda avventura narrativa del vicequestore Vanina Guarrasi, dopo il successo ottenuto con “Sabbia nera” (entrambi per Einaudi Stile Libero, pp.384 €19).

Medico chirurgo specialista in Oftalmologia, originaria di Noto, quando non visita i pazienti, Cristina Cassar Scalia immagina storie. Stavolta parte da una valigia gettata tra gli scogli e da una giovane avvocata scomparsa: c'è un collegamento tra questi due fatti? Ecco la domanda che ossessiona il vicequestore Giovanna “Vanina” Guarrasi, affiancata da diversi comprimari, fra cui il commissario in pensione Biagio Patanè, in una narrazione veloce e gustosa, arricchita da citazioni cinematografiche e una sana ironia. La Cassar Scalia è fra le poche voci della narrativa ad aver saputo compiere sulla pagina un cambio di genere con ottimi riscontri. Difatti, dopo due romanzi decisamente più soft, “La seconda estate” e “Le stanze dello scirocco” (rispettivamente 2014 e 2015, editi da Sperling&Kupfer), approda a Vanina - donna forte e orgogliosa, fumatrice, cultrice del cinema d'autore e del cibo, senza sensi di colpa. Il passaggio al genere noir potrebbe apparire brusco ma il pubblico l'ha premiata (tanto che il romanzo già opzionato per cinema e tv, è già in ristampa e stabilmente in top ten). Ogni sua pagina è un trionfo in salsa sicula, con un pizzico di dialetto e la voglia di sbaragliare i pregiudizi, narrando un'isola metropolitana, lontanissima dalla tradizionale Vigata di Montalbano.

Ci racconta il suo approdo al mondo del noir?

«La nascita di Vanina è frutto della storia che ho scelto di raccontare. Una sera a casa di amici, ho visto un montacarichi dentro una villa storica e ho immaginato che dentro ci fosse un cadavere ormai mummificato. Così è nato Sabbia nera. Ho sempre letto moltissimi libri gialli ma non avevo mai pensato di saperne scrivere. È stato lo spunto a portarmi da Vanina e da lì è iniziato tutto».

Vanina si muove fra Catania e Palermo. Come mai?

«Vanina opera a Catania. Volevo parlare della mia città eppure le ho dato un passato palermitano; amo Palermo e volevo che il suo passato vi fosse dolorosamente ancorato per via della morte del padre che accenno, traendo ispirazione da un fatto realmente accaduto ovvero l'assassinio di un ispettore di Catania che combatteva il pizzo nei primi anni 90. Mi piace questo effetto flipper, la possibilità di poter giocare fra le due realtà metropolitane, fra battibecchi, piccole incongruenze ed espressioni folkloristiche su cui noi siciliani giochiamo sovente».

Affrontiamo il tema della retorica della legalità. Un tema agrodolce per noi siciliani…

«Credo che l'impronta di Leonardo Sciascia sia sempre forte ed attuale. Vanina, per il suo carattere schietto e spigoloso non può apprezzare la ridondanza, la retorica sul tema della legalità che tanto piace in certi ambienti. Lei che ha combattuto la mafia e ha dovuto pagare un caro prezzo a livello personale ovviamente storce il naso davanti a tanta ipocrisia».

Che Sicilia racconta?

«Quella che vorrei leggere. Non mi piace farne una cartolina, per cui ogni tanto mi concedo delle piccole denunce civili, togliendomi sassolini dalla scarpa. L'isola è figlia delle contraddizioni, lo sappiamo e raccontarne solo il lato positivo non avrebbe senso, credo. Ma la racconta da siciliana che ci vive».

Cosa cambia?

«Chi è andato via ne parla con amore e malinconia ma giocoforza ne ha un'immagine falsata. Io cerco di raccontarla nel modo più neutro possibile ma credo si senta la voce dell'isola fra le pagine. Del resto, credo che sarebbe davvero difficile ambientare altrove le mie storie».

Perché?

«Sento la Sicilia come un vero e proprio personaggio dei miei libri, capace di esercitare una grande attrattiva sui lettori».

Entrambi i libri di Vanina sono stati opzionati per il cinema e la tv. Dica la verità, si è montata la testa?

«No, per carità. Sono felice ma continuo a lavorare nel mio studio a Catania con grande passione. E fra quelle mura, pensi, non c'è nemmeno una copia dei miei libri».

Nel libro racconta Catania inscenando una collusione fra alte sfere e criminalità organizzata, condita da festini alla cocaina. Tutto finto, tutto vero?

«Purtroppo, l'attualità di questi giorni racconta che la realtà supera sempre la fantasia. Inventando storie parto sempre da fatti ascoltati e articoli letti nel tempo, innestando tutto con la fantasia, creando un ambiente fortemente colluso e da cui scaturisce il crimine, l'indagine di Vanina, permettendo così al lettore di prendere a cuore la narrazione e sperare che, almeno sulla pagina, i cattivi vengano puniti».

Il noir al femminile domina sul mercato. Le “sbirre” piacciono molto. Come mai?

«Era una svolta narrativa che mancava. È il frutto di un cambiamento, del resto relativamente da poco tempo le donne rivestono ruoli apicali in divisa e la letteratura ha un tempo di latenza ma poi, necessariamente, segue. Il trend narrativo è interessante, i ruoli femminili hanno successo anche quando sono narrati dagli uomini. Ciò posto, vorrei parlassimo solo di scrittura, senza etichette di genere sessuale».

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