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Il "sottaterra" che riemerge, dallo Sponz Fest di Capossela il tema che mostra quanto sia vivo il passato

La straordinaria manifestazione di vitalità culturale che lo Sponz Fest rappresenta per l'Irpinia, per il Sud, per i piccoli paesi e le periferie, ha avuto quest'anno significativamente al centro il tema proposto del “Sottaterra”. L'associazione del concetto risulta particolarmente feconda perché grazie alle iniziative, ai concerti, agli incontri, alle performance il vuoto dei paesi spopolati ha occasione di diventare pieno, il basso di toccare il cielo, le ombre di trasformarsi in luci. Un mondo sommerso e rimosso torna prodigiosamente a riemergere, affiorano vitalità cancellate; la “tradizione” - evocata, raccontata, rappresentata - non è più oggetto di rimpianto e di retorica, ma diventa, trasfigurata e proiettata nel mondo, elemento di conoscenza, meditazione, resto e reliquia viva per nuove culture e nuove comunità possibili, resistenti all'omologazione del presente.

Legato alla terra, alla vegetazione e al sottoterra, appunto, è quell'universo folklorico tradizionale in cui Vinicio Capossela trova ispirazione e in cui troviamo riuniti sia demoni, draghi, sibille che defunti, anime e santi. Oggetto di una duplice forma di svalutazione, sempre a rischio di essere rimosso, cancellato o invece esaltato e mitizzato da visioni che vorrebbero separare, contrapponendoli, antico e moderno. In realtà, tradizione e modernità non sono due termini antitetici, non esiste modernità senza un autentico, sofferto, problematico rapporto con il proprio passato, senza un legame del cielo dei nostri orizzonti con il sottoterra della tradizione, della memoria e con il riconoscimento della propria storia.

Nei racconti popolari e nelle fiabe vediamo riemergere in filigrana il mito di Persefone, la divinità della vegetazione il cui tempo si divide tra il desolato e afflitto paesaggio sotterraneo e quello luminoso e solare della terra nella stagione fertile. Ricordandoci così che il sottoterra è luogo di cura, memoria, radici, riparo invernale, segreta fertilità e di resistenza per una futura rinascita.

I draghi e le sibille, creature ctonie per eccellenza, legate alle grotte e alle profondità da cui sgorgano le acque, rimangono come segni di un passato antico in cui i demoni erano in realtà divinità inferiori, mediatori tra umano e divino, sospesi a metà strada tra terra e cielo. Possiamo percepire una remota eco del loro significato in luoghi importanti della religiosità cattolica e popolare: a Polsi, dove la leggenda, richiamata ad esempio nella fiaba “La mamma Sibilla”, raccolta da Letterio di Francia, reinventa il rapporto tra l'antica figura di maga e la Madonna cui è dedicato il Santuario. Nei sogni e nei modi di dire degli abitanti di Cavallerizzo, prima e dopo la frana del 7 marzo 2005, il drago si ripresenta e rivela il senso della sua funzione di leggendario custode di tesori e guardiano del sottoterra. Con il suo rantolo, il drago partecipa, assieme al Santo che lo uccide per proteggere e salvare la comunità, di un mito che avverte e ammonisce gli abitanti a non tradire un patto e un legame con un territorio particolarmente fragile.

Le metafore dello spazio possono cambiare e suggerire punti di vista sorprendentemente diversi, persino opposti. Le plaghe del sottoterra possono così ospitare le potenze della vegetazione, i demoni e i defunti, ma anche proteggere i santi eremiti dentro alle grotte. Nel passaggio dal mondo antico a quello moderno, il cristianesimo afferma infatti una diversa concezione della morte e dell'aldilà, che corrisponde a un diverso spazio cosmologico e in cui sono i santi a costituire il trait d'union tra gli uomini e Dio. Le loro tombe e le loro reliquie “risacralizzano” i luoghi che proteggono, soprintendendo a un nuovo patto tra l'uomo e la divinità, volto al superamento della morte attraverso la prospettiva della resurrezione, che però non espelle ma è in grado di confermare il legame con i morti.

Il sottoterra ci parla, inevitabilmente, anche del nostro rapporto con i defunti e con la morte, suggestivamente evocata dal progetto “Trenodia”, che scava nelle radici del lamento funebre e lo ripropone in forma artistica in un'epoca che tende invece a credere di poter rimuovere la presenza della morte. Ricordandoci che ogni prodotto culturale si pone in primo luogo come schermo tra gli uomini e il problema irriducibile della morte ed è nell'ambito di quell'orizzonte protettivo che diventa possibile risolvere la crisi esistenziale che ne deriva per riaprirsi alla vita.

Per contrastare la crisi di comunità che muoiono, dobbiamo riconoscere che gli abissi che si spalancano sotto, sopra e dentro di noi non sono separati, ma ci indicano la via di un possibile, pur se incerto, cammino da compiere per ritornare «a riveder le stelle».

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