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Libri: la casa resta, noi siamo sempre “di passaggio”
 

Una casa, la terza pelle dopo la nostra pelle di carne e dopo gli abiti, una dimora dove sentirsi a casa e da costruire su misura. Protagonista del bel romanzo “Di passaggio” (Sellerio, traduzione di Ada Vigliani), di Jenny Erpenbeck, raffinata scrittrice di Berlino Est. Un punto illusoriamente fermo, ma invece “di passaggio” per le undici vite che vi si avvicendano, in un secolo, tra espropri, subaffitti e destini personali.

Una casa pulsante, curata da un solerte giardiniere-custode, lontana dai fragori della storia, in mezzo a una natura lussureggiante in una tenuta del Brandeburgo, nella Germania Est, e che sembra resistere agli eventi del Novecento, da Weimar al nazismo e alla Shoah, e dal dopoguerra al comunismo, sino all'unificazione delle due Germanie e alla modernizzazione.

A inizio Novecento, in quel piccolo mondo antico abita un ricco “sindaco” con quattro figlie; poi, il bosco confinante col lago e la casa vengono venduti a un raffinato architetto berlinese, allievo di Speer. Alla proprietà si aggiunge un capanno, ceduto a metà prezzo da un produttore di tessuti ebreo. Ma quando arrivano i comunisti, l'architetto deve lasciare la casa, anche se il giardiniere non smette di potare, piantare, innestare, riparare il tetto.

Di quella che è diventata casa del popolo, dei profumi e dei colori e dei suoni del luogo, adesso gode una scrittrice comunista, tuttavia rammaricata perché un medico della Nomenklaturache ha affittato il frutteto e l'apiario, li abbatte all'improvviso, anche per comprare la casa contro tutte le regole. L'inizio della fine per quel luogo dove aleggiano presenze, fantasmi, ricordi, e dove tutti hanno appreso l'arte del perdere: dalla ragazzina ebrea che vi trascorreva l'estate coi familiari al sensibile maggiore dell'Armata rossa “occupante”, alla vecchia ospite che da proprietaria è diventata serva.

E quando cade il muro di Berlino il figlio della scrittrice subaffitta il laboratorio in riva al lago ad una coppia appassionata di vela, una consolazione per un'esistenza oscura, segnata dalla “colpa” di aver tentato, il marito, la fuga dall'Est. Condizione transitoria, anche questa, “di passaggio”, perché gli eredi dell'architetto hanno fatto domanda di reintegro e la nipote della scrittrice deve lasciare la casa, consapevole «che quanto sta chiudendo è profondamente radicato dentro di lei, mentre il mondo verso cui retrocede le è, altrettanto profondamente, estraneo».

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