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"La tecnologia? È nobile", il ricordo del filosofo scomparso Giulio Giorello

«Dado, mi trovi quel testo da te tradotto dal greco che recita “Sulla mia lancia io mangio, sulla mia lancia bevo”?».

Chiedeva questo, a Edoardo “Dado” Boncinelli, Giulio Giorello, tra i suoi amati libri, a casa, prima della fine. Sempre curioso di conoscere, il filosofo, il matematico, l’umanista, l’appassionato di musica e di fumetti, di leggende e di paleontologia, chiedeva di Archiloco allo scienziato anche lui innamorato dei classici e dei saperi. Si sentivano ogni giorno Giorello e Boncinelli, amici da più di vent’anni (si erano incontrati per la prima volta a Firenze, nel 1996, a un convegno organizzato per gli 80 anni di Giuliano Toraldo di Francia), e delle nozze dell’amico con Roberta, avvenute lo scorso 12 giugno, Boncinelli è stato testimone a distanza, come avviene in questi tempi tristi di Coronavirus.

Insieme, Giorello e Boncinelli, due spiriti liberi, innamorati di Dante, di Shakespeare e di Leopardi, avevano scritto “Lo scimmione intelligente: Dio, natura e libertà” (Rizzoli), “L’incanto e il disinganno: Leopardi, poeta, filosofo, scienziato” (Guanda), “Noi che abbiamo l’animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra” (Longanesi), e stavano scrivendo “La balena spiaggiata” (che allude alla democrazia), di cui avevano già registrato una gran parte, nelle loro dotte conversazioni prima dell’isolamento.

«Era un intellettuale libero e onesto, coltissimo – ci ricorda Boncinelli – , aveva una memoria spaventosa, capace di citare anche quanto scritto da me. Era un matematico che sapeva la matematica, e molte volte parlava come se fosse più scienziato di me. Aveva un “cervello” eccezionale, e io spesso lo rimproveravo di averlo usato poco. Il che può sembrare un paradosso per uno come lui che ha scritto più di cinquanta libri, ma secondo me era stato “pigro” rispetto alle sue potenzialità».

Difendeva i diritti della scienza e della libertà Giorello, che amava Hume e Spinoza, Galileo e Kant, e, tra gli altri, il maestro del dubbio Feyerabend. «La tecnica stessa, e poi la tecnologia, che della prima è figlia, è conoscenza e libertà sin da quando l’essere umano ha realizzato i primi manufatti» diceva a chi scrive, qualche anno fa. Era un grande divulgatore e parlava con entusiasmo delle prospettive della ricerca, che procede per gradi e tentativi; e alla domanda se i progressi della scienza possono mettere in pericolo il pianeta Terra, il filosofo della scienza che nella storia della riflessione sul nesso tra scienza e tecnica, tra tecnica e tecnologia ha dato un contributo rassicurante sul ruolo che la tecnologia ha nel destino dell’uomo, rispondeva di avere una visione nobile della tecnologia, perché «il mondo operativo è anche riflessivo, le macchine sono pensiero incarnato. Ha ragione Raymond Queneau quando dice che con la costruzione di un martello c’è già una pianificazione».

E aggiungeva: «Penso al bellissimo “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick, nel quale è evidente come l’utilizzo di un osso o di una pietra può essere di difesa come di offesa e questo sin dal tempo degli ominidi. Qualunque strumento tecnico può essere pericoloso, qualunque meccanismo è stato stimolato dalla guerra sin da Archimede, non dobbiamo fare gli innocenti. L’uso politico della tecnologia va controllato e questo si coglie molto bene con i travagli della fisica del ‘900. Anche gli eventi che stanno accadendo sul pianeta ci dicono che la tecnologia è uno strumento di difesa; essa, quantomeno, può darci il tempo di scappare, di metterci in salvo di fronte agli eventi catastrofici naturali, pandemie comprese. Nessuna fiducia miracolistica nella tecnica (e non credo nemmeno alla favola della natura buona), ma senza tecnica non si potrebbe continuare in questo percorso affascinante. Kant diceva che l’illuminismo è il modo maturo di usare l’intelligenza; credo che abbiamo bisogno di illuminismo scientifico».

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