Il mondo che ci cammina addosso. Questo è il capogiro narrativo dell'ultimo romanzo di Marco Ciriello, “I leggeri di Nairobi”, pubblicato da Rubbettino. Esattamente così. Le parole, i discorsi, le tirannie, i giochi infami, i profitti, le impressioni e le estasi di un sistema che unisce all'efferatezza dei libertini francesi del 700 i prolassi politici e imprenditoriali di questo pornografico neocapitalismo. E lo fa con una materia ed una lingua che cambiano di pagina in pagina, di frase in frase, con un'abilità e una bravura mostruose. Prima siamo a Nairobi, ma subito dopo ci spostiamo in Cina, nei luoghi dove si decidono i destini e le ambizioni, poi in America, nello studio di un capitano d'industria che, come tutti i capitani d'industria della nostra epoca, sembra un impasto fra uno sciamano e Schopenauer. Poi seguiamo le strade sulle quali si allena Mohammed Alì, il predestinato, l'“oggetto” dei desideri di tutti, il ragazzo che vincerà l'unica gara che conti sul serio delle Olimpiadi: la maratona, e scenderà sotto le due ore. C'è un clima di arrembaggio. Una corsa contro l'equità delle cose. Una dissolvenza del desiderio che inchioda la nostra percezione, i nostri pensieri, le parole che diciamo e quelle che rimangono nella gola. Sembra che ci sia tutto, in questo libro. Tutto quello che conosciamo, o che pensiamo di conoscere, ma anche ciò che sospettiamo, anche le ombre dietro le tende o gli amanti che si nascondono sul cornicione della finestra. Anche questo. Le pistole fumanti, i morti e i pensieri amarissimi dei moribondi, le corse in bicicletta, le spie, i tornei di tennis, le delusioni in itinere. In questo romanzo ogni cosa viene considerata un gioco profittevole anche se non lo è. Perché è così che lo intende il dominio economico. Le persone come cose, le cose come persone. L'inversione della riconoscibilità. Anche i biscotti hanno nomi propri nell'epoca dell'individuazione, mentre interi continenti hanno perso volto e voce. Invece Ciriello riesce a nominare, a indicare persone e cose con esattezza e velocità, ridà voce alla nostra più profonda ferita, quella della dispersione nell'accumulo di ambizioni e bisogni e desideri inutili. In questi anni di moratoria della letteratura (tranne pochi eccezionali casi) Marco Ciriello, con questo libro e non solo, riesce a tirar via la patina dai nostri occhi e a farci vedere l'orrore che sfreccia sulla nostra realtà e lo fa con la leggerezza inaudita della sua formidabile scrittura.