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Ma tra le “Vite in fuga” per caso c’è pure quella dello spettatore?

Prendiamo atto che la Rai ha da tempo iniziato un percorso narrativo di rinnovamento cercando di dare una svolta d’autore al contesto generalista della fiction, ma prendiamo anche coscienza che lo fa in maniera sovrabbondante. L’esempio è quello di “Vite in fuga”, la miniserie in 6 puntate in onda lunedì e martedì su Raiuno, con al centro la famiglia Caruana, che da un giorno all’altro è costretta ad abbandonare una agiata esistenza per nascondersi in attesa che venga risolto l’omicidio di un collega del capofamiglia Claudio, apparentemente coinvolto nel fallimento della banca che dirige.

Come avrete compreso, la trama è particolarmente ricca, con vari e diversi elementi che si intersecano, ma quelli che apparentemente sembrano i temi portanti, come lo scandalo finanziario, vengono poi sfumati per lasciare più spazio alla narrazione delle dinamiche personali dei componenti della famiglia. Insomma, “Vite in fuga” ha molte sfaccettature, si propone come un thriller ma poi vira nel family drama, è una indagine investigativa che si trasforma in una scoperta delle personalità dei protagonisti, è un percorso nella difficoltà di assumere una nuova identità mantenendo saldi i legami più stretti, non rinuncia ad alcuni momenti spettacolari e non abbandona il filone intimista.

In sintesi, tanta, forse troppa roba, che non sempre, a nostro avviso, ha uno sviluppo lineare e coerente, perché nel correre da un argomento all’altro, nell’attraversare situazioni e sentimenti, la trama finisce con l’essere frammentaria e arzigogolata. Quella dei Caruana diventa una vita al limite, in cui l’obesità delle situazioni e la bulimia della loro evoluzione, alla fine, la fanno apparire surreale ed esagerata, perché rivolgersi ad un esperto in sicurezza, specialista nel far assumere le persone una nuova identità, francamente, per quanto ammantato di credibilità, non è fatto alla portata di tutti. Il tentativo di cercare una strada nuova nella fiction è certamente apprezzabile, anche perché gli interpreti principali (Claudio Gioè, Anna Valle, Barbara Bobulova e tutto un buon cast nel quale figura anche la messinese Federica De Cola) così come la cura e la ricerca delle location comunque sorreggono con convinzione la storia, rendendola avvincente.

Ciò che lascia perplessi è la quantità del materiale narrativo e la sua continua trasformazione. Pesa, comunque, una cupezza di fondo, nella quale i rari momenti di serenità familiari sono ammantati di inquietudine che, al momento, non è proprio una sensazione che si condivide con spontaneità.

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