Trent’anni di carriera, 60 anni compiuti. «Le mie due vite, per metà non sono stato musicista, per l’altra sì». Luciano Ligabue avrebbe dovuto festeggiare come meglio sa fare, un megaconcerto nella “sua” Campovolo, con 100 mila fans. “Trent’anni in un giorno”, che la pandemia ha trasformato in “Trent’anni in un nuovo giorno”, nella nuova data – sub judice anch’essa – del 19 giugno prossimo. E nel frattempo? Nel frattempo ecco “77+7”: la raccolta dei 77 singoli pubblicati in questo trentennio, più 7 inediti, un cofanetto speciale in uscita venerdì. Che ruota tutto intorno ad un numero magico.
La "magia" del 7
«Metà anni Novanta – svela il rocker emiliano –, mi arrivarono due lettere, di due numerologhe, che ci tenevano a farmi sapere che c’era questo 7. Il mio nome è composto da 7 lettere, il cognome pure, San Luciano è il 7 gennaio, le mie iniziali sono due L, che rovesciate sono due 7, il mio primo concerto è stato nel 1987, il mio primo stadio è stato nel 1997, la mia canzone più popolare, Certe notti, è la traccia numero 7 di Buon Compleanno Elvis». Serve altro?
I trent’anni di carriera
«Avevamo in testa di fare tanto per festeggiare questi 30 anni, non abbiamo potuto fare quello che contava di più, il concerto. A quel punto, se non puoi guardare avanti, guardi indietro. Per la prima volta ho raccontato la mia storia, con il libro “È andata così”, riguardandola attraverso i miei occhi. È stato un salvagente emotivo. Passando anche dai momenti di crisi, ho rivissuto un po’ di emozioni che avevo anche bisogno di ricordare».
«Quando volevo smettere» A proposito di momenti di crisi: «Sono grato totalmente per quello che ho vissuto, ma l’intensità la si paga. A volte mi sono perso, al punto che nel 1999 avevo meditato di smettere. Non ero preparato a quella mole di successo, non ero pronto soprattutto ad essere raccontato come non sono e all’isolamento che questa cosa produceva. Io so stare solo, che è diverso dal sentirsi solo. Uno può sentirsi solo anche in mezzo a tanti, ed è quello che è successo in quel momento. Poi fortunatamente una vocina dentro di me diceva: “se smetti, come fai a fare concerti?”, e così dopo 20 anni sono ancora qua».
Campovolo
Concerti. Campovolo. E una festa rimandata al 19 giugno: «Non mi ci sto preparando, sono ancora in una fase di estrema frustrazione. Quando sarà, tra voglia, roba da sfogare, gioia, senso di liberazione , ho la sensazione che capiteranno tante di quelle cose che sarà quasi insostenibile il concerto per me. Dopo la mia prima esibizione, a 27 anni, in un centro culturale con cento persone, ho cercato di fare di tutto per rivivere quell'esperienza più volte possibile. Per me fare concerti vuol dire stare davanti qualcuno, però, qualcuno che rimbalzi emozioni. Bisogna fare i conti con tanti aspetti, ma spero, per il bene della musica, che i concerti non debbano essere ridotti a eventi in streaming».
Le canzoni e la pandemia
E però c'è una pandemia con cui fare i conti. Ognuno a suo modo. «Tra i brani che ho scritto nella mia carriera - dice il Liga – ce ne sono alcuni a cui io accosto l’aggettivo “utile”, perché in grado di dare conforto in certi momenti. Penso a “Il giorno di dolore che uno ha”, “Quella che non sei”... “Niente paura” è quasi sfacciato come proclama, in una fase in cui dobbiamo tenere botta ed essere giustamente preoccupati, ma rischiamo di aver paura del futuro, dell’economia, dei vaccini, di cose che non controlliamo e delle quali siamo spettatori. Non c’è nulla che precluda il fatto che, come nei dopoguerra, possa esserci una nuova ricostruzione. Un nuovo umanesimo quando finirà tutto? Crederci vuol dire essere dotati di un grande ottimismo. Dico però che è questa è un’occasione che bisognerebbe non perdere. La tragedia porta, nella sua negatività, una possibilità. Ci ha costretto a fermarci? Ripensiamo ad un paio di cose. Fino a ieri pensavamo di godere di benessere, tecnologia, scienza come mai in passato, ma al tempo stesso si è diffusa una insana dose di infelicità. Pensiamo allora a come godere davvero di tutti gli aspetti dell’evoluzione, per riuscire a stare meglio noi».
La pandemia e il nuovo album
«In questa fase viviamo stati d’animo diversi – continua Ligabue –, c’è anche uno scotto psicologico di cui capiremo il peso soltanto quando ne saremo fuori. È chiaro che tutto questo condiziona la creatività. Può essere anche una reazione, una voglia di muoversi con un sentimento di speranza. Sono sempre stato un po’ quello che ha quel ruolo lì. Penso che la speranza ci sia anche in queste sette canzoni. Sia “Volente o nolente” che “Mi ci pulisco il cuore”, anche se sono nate in momenti diversi, fanno i conti col periodo che stiamo vivendo. Non credo che le canzoni possano risolvere la vita delle persone, possono però essere una mano sulla spalla e soprattutto tenere compagnia».
Quelle "schegge sparse" pescate nel cassetto
Sette “schegge sparse”, ripescate nei cassetti. Brani di 10, 15 anni fa. Riarrangiati, in alcuni casi riscritti. Alcuni destinati a diventare nuovi “classici”. I fans di Ligabue hanno già avuto due assaggi degli inediti di “7”, La ragazza dei tuoi sogni e Volente o nolente, cantata con Elisa («il primo duetto e la prima voce femminile in un mio album»). I due brani aprono e chiudono il disco, in mezzo una carrellata che suona tanto “vecchio” Liga.
Di Mi ci pulisco il cuore «ho tenuto solo il ritornello e quel titolo così sfacciato. È uno dei brani che amo di più in assoluto: mi piace la realizzazione, mi piace come suona, mi piace il fatto che ci siano ben tre assoli di chitarra». In Si dice che, «ironica presa in giro di quanto si commenti ogni cosa, oggi, in rete», il basso è quello di Luciano Ghezzi, storico componente dei ClanDestino, morto a ottobre a 56 anni. «La traccia originale era in un provinaccio – spiega Ligabue –, di quelli che si fanno per puro divertimento. Abbiamo fatto l’impossibile per recuperare quella traccia di basso e l’abbiamo usata come un architrave a cui poterci appendere per fare il resto della produzione».
In Un minuto fa torna la capacità del Liga di rendere potente la tristezza di un rapporto che finisce o che è ormai agli sgoccioli (vedi “L’amore conta”, “M’abituerò”, “Vittime e complici”). Con uno spunto particolare: la prima versione fu scritta per Buon compleanno Elvis, poi venne rielaborata, con una nuova musica, per diventare la “Key è stata qui” di Miss Mondo. In pieno lockdown, dal famoso cassetto viene fuori la demo. E viene fuori un’altra perla, che anticipa il pezzo più rock del disco, Essere umano. Un brano che corre su un doppio binario. Le strofe, in minore, più riflessive, persino dolorose; il ritornello, in maggiore, decisamente più scanzonato. E l’immancabile terza via, quella per cui, magari, «un giorno decollo».
Il brano più intimo, invece, è Oggi ho perso le chiavi di casa. Dominano le chitarre (costante di tutto l’album) e, partendo dalla più banale delle sbadataggine, la perdita appunto delle chiavi di casa, finisce per scavare nella palude dei dubbi e delle ambiguità celate da qualche parte in fondo all’anima. Quasi spiazzante la lunga coda musicale: l’origine è un suono di corni francesi, scovato in un software in chissà quale anfratto di casa. Ne viene fuori un tema quasi da orchestra, “antipasto” di Volente o nolente, ma musicalmente vera chiusura del disco.
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