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A tu per tu con Silvia Avallone: "Prendiamoci cura delle parole"

Nel suo ultimo romanzo l’amicizia, come spazio di libertà e salvezza, tra due ragazze e poi donne molto diverse

Italian writer Silvia Avallone poses for photographers during the photocall for the movie ''Acciaio '' (Steel), by Italian director Stefano Mordini, in Rome, Italy, 23 October 2012. The movie will be released in Italian cinemas on 15 November. ANSA/CLAUDIO ONORATI

«Abbiamo disperatamente bisogno di tornare a dare importanza al linguaggio e all'oggetto libro. Oggi più che mai». Al telefono, dall'altro capo della linea, risponde Silvia Avallone, la scrittrice bestseller con “Acciaio” (Premio Campiello Opera Prima, da cui è stato tratto un film diretto da Stefano Mordini), “Marina Bellezza” e “Da dove la vita è perfetta”. Oggi torna in libreria con “Un'amicizia” (Rizzoli), il racconto di una sorellanza fra Elisa e Beatrice, due figlie della provincia italiana, giovani donne assai diverse, antitetiche nelle passioni, fra l'amore per i libri e la passione per i social. Gli anni passano e Beatrice Rossetti diverrà un'icona, una influencer nota in tutta Italia, e così toccherà ad Elisa, a posteriori, raccontare com'era nata la loro amicizia, in che modo due anime così diverse si erano trovate. Oggi, fra pandemia e Dad, i social network e le dinamiche online sono temi decisamente attuali che Silvia Avallone affronta a viso aperto, superando anche le solite dicotomie: «La rete non è necessariamente nemica della letteratura, anzi, durante la pandemia i social hanno dimostrato di poter costruire una comunità di lettori».

Avallone, lei non è mai stata presenzialista sui social, ma dov'era andata a finire?

«Ho scritto questo libro. Ci metto molto tempo per capire di cosa voglio occuparmi e altrettanto per affinare la scrittura, creare i personaggi e trovare il ritmo. E ora, eccomi».

Perché Beatrice sceglie Elisa, una ragazza così diversa, quasi antitetica?

«È la sua ribellione, la sua possibilità di prendere un'altra strada rispetto a quella in cui l'ha messa per forza sua madre, imponendole il diktat della bellezza che pende come una spada di Damocle su molte donne. Le amicizie adolescenziali sono un modo per liberarsi dalla storia familiare, dal dover essere solo un figlio e poter diventare noi stessi, finalmente. La loro amicizia sarà per entrambe un'officina sperimentale. Oltretutto credo che Beatrice veda in Elisa uno spazio interiore, una sofferenza sopita che le accomuna».

Le amiche si scontrano sul fronte della letteratura, per Elisa è essenziale, per Beatrice, invece, è obsoleta. C'è una via di mezzo?

«La desidero! Ho iniziato a scrivere questo romanzo con una profonda paura dei social, all'inizio li consideravo come diretti concorrenti. Del resto, nei romanzi raccontiamo le vite degli altri, ne riveliamo i segreti e le vergogne, invece i social portano in primo piano le gioie e i desideri, la piena esteriorità degli altri. Una concorrenza anche sleale».

Perché?

«È più facile postare un'immagine e passare avanti. Invece un romanzo richiede un altro impegno. Ma ho capito che i social possono essere usati in modo diverso, diventando persino un grande alleato per promuovere la cultura e la lettura».

Elisa trova 52 aggettivi per descrivere un platano. Si è divertita?

«L'ho lasciato a lei questo divertimento (scoppia a ridere)».

Dobbiamo aver cura delle parole?

«Per forza. Se rinunciamo all'esattezza delle parole, rimaniamo nudi e indifesi nei confronti del mondo. Senza la vera comunicazione ci isoliamo e dobbiamo essere consci che non possiamo solo collezionare una sequenza di belle immagini, le parole ci servono per capire chi siamo ed essere presenti nelle nostre vite».

Lei si è raccontata sui social per il lancio di questo libro. Perché?

«Ho sfidato me stessa. Ho voluto raccontare il processo di scrittura di Un'amicizia e per farlo su Facebook e Instagram, prima di tutto ho dovuto fare i conti con me stessa e le mie umane fragilità, ma è stato davvero molto importante potermi confrontare online direttamente con i miei lettori».

Beatrice diverrà un idolo dei social ed Elisa rivela al lettore di possedere immagini in cui appare imperfetta. Oggi farsi una foto “al naturale”, senza filtri, è un atto rivoluzionario?

«Ecco la ferocia che c'è nell'imposizione di un canone di bellezza al quale dobbiamo sempre conformarci. Credo sia necessario ribellarsi a questi modelli culturali, chiedendo la parità di genere, rifiutando che le donne debbano sempre sacrificarsi, facendosi da parte, rinunciando alla propria felicità. Non dobbiamo reprimere la nostra complessità, non è semplice, lo so».

Bea e sua madre hanno un rapporto molto difficile, lo accennava. La buona educazione che ruolo ha oggi?

«Un tema antico e sempre attuale. Racconto una donna che avendo rinunciato a realizzarsi, poi esige che sia la figlia a farlo per lei. È come una catena di disuguaglianze che non si rompe mai e intanto gli uomini sono liberi di andare per il mondo cercando la propria via. Ma è tempo di ribellarsi».

La pandemia è stata devastante sul fronte del lavoro, acuendo il gender gap. Come si scardina questo corto circuito?

«C'è una tremenda disuguaglianza sotto i nostri occhi, uno squilibrio di ruoli e mansioni che comincia dentro la famiglia e si riversa sui figli che ne pagano le conseguenze. Il primo passo è quello di ridare finalmente importanza alle scuole, rimetterle al centro della nostra società, prendendosi cura dei ragazzi e delle loro fragilità».

Che ne pensa della chiusura delle scuole?

«Mi rattrista molto e mi preoccupa la mancanza di coraggio nel cercare le possibili soluzioni per poterle riaprire. La pandemia sta peggiorando la condizione femminile e sono effetti che pagheremo a caro prezzo, temo».

Una misura concreta per dar conto del cambiamento?

«La prima che mi viene in mente è la parità di congedo. Gli uomini devono poter rimanere in casa con i bambini tanto quanto le donne e vivere appieno la genitorialità. In ogni aspetto della società ci deve essere una equa distribuzione dei compiti perché così facendo le donne non dovrebbe rinunciare a nulla e gli uomini avrebbero la possibilità di prendersi cura degli altri».

E in tutto ciò, gli scrittori che ruolo dovrebbero giocare?

«Ho sempre creduto che la letteratura sia una bussola per analizzare e interrogare il nostro tempo. La letteratura deve avere un valore civile e comunitario tuttavia, una delle sue caratteristiche peculiari è proprio quella di essere libera da obblighi e ruoli».

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