In un gremitissimo Teatro Vittorio Emanuele, dopo la cerimonia di premiazione del Messina Film Festival, il 9 dicembre del 1998 si attendeva l’evento clou della rassegna, ideato dal direttore artistico Francesco Calogero, per commemorare i 90 anni dal terremoto di Messina e Reggio del 1908.
In scena, infatti, c’era Franco Battiato che realizzò dal vivo insieme con Manlio Sgalambro e il pianista Angelo Privitera, un tessuto sonoro sulle rare sequenze filmate della catastrofe, reperite dopo accurate ricerche dall’Associazione culturale Milani, presieduta da Ninni Panzera (con il sostegno della Fondazione Bonino-Pulejo) e poi montate negli studi della B&B Cinematografica di Egidio Bernava.
Battiato diede vita a una colonna sonora poco invadente, in cui alternava alle improvvisazioni timbriche create con i sintetizzatori, alcune sue composizioni. Frammenti musicali arricchiti da canti etnici, rielaborati al campionatore, che sembravano captati dalle frequenze d’una radiolina travolta dalle macerie. Un crescendo ritmico che assecondava perfettamente la visione di quei crudi fotogrammi in bianco e nero i quali raccontano della nostra Atlantide dello Stretto, tra i volti attoniti della gente, ancora poco più che ottocentesca, e le architetture violentate dal sisma. Una città che è solo della memoria.
Dopo i quindici minuti di pellicola in grigio sbiadito, che lasciano solo intuire l’entità di una tragedia segnata dai colori del sangue e della disperazione, Battiato volle che la sequenza venisse riproiettata in “reverse” per concludersi con la facciata del Duomo di Messina, a colori, così com’è oggi dopo la ricostruzione. Quasi un esorcismo, un percorso a ritroso per far risorgere dalla memoria la speranza: «Questa antologia di immagini – era scritto nel testo che presentava il video – è dedicata al ricordo di quanti perirono nel disastro, alle innumerevoli storie spezzate, ma anche a noi perché la memoria di quel tragico evento si perpetui, non per sterile ricordo ma come monito affinché altre macerie non ostruiscano le nostre coscienze».
La proiezione si aprì con le lapidarie parole di Sgalambro: il compito d’un moralista, disse il filosofo di Lentini, è quello di creare un’etica della catastrofe, suscitare il panico, il terrore d’una Natura così apparentemente amica, ma in realtà pronta costantemente a distruggere con indifferenza ogni traccia della nostra esistenza.
Caricamento commenti
Commenta la notizia