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SalinaDocFest, il Premio Siae a Francesco Bruni

Per il film “Cosa sarà”. Il regista: "Un tema quasi profetico. Con la malattia si può convivere"

Lo sceneggiatore Francesco Bruni

Il Premio Siae Sguardi di Cinema del SalinaDocFest verrà assegnato stasera a un film tutto di pancia, che non si vergogna delle debolezze umane, prova a trasformarle in punti di forza e non nasconde la fragilità, nuova frontiera del maschio contemporaneo. È “Cosa sarà” di Francesco Bruni, che prende spunto dalla malattia dello stesso regista: la premiazione – che precederà la proiezione - avverrà in piazza a Malfa con un video saluto in streaming di Bruni, impegnato sul set di una serie Netflix. A moderare la serata, alla quale parteciperà anche il sindaco di Malfa, Clara Rametta, il giornalista e critico Enrico Magrelli. «Conosco il Festival è ho una grande considerazione di Giovanna Taviani. Mi spiace non esserci», commenta Bruni.

Ha collaborato alla sceneggiatura di tre film di Ficarra e Picone, “Nati stanchi”, “Il 7 e l'8” e “La matassa”, a “I Vicerè” di Roberto Faenza, ha firmato le sceneggiature degli episodi de “Il commissario Montalbano” e, per rimanere in area Camilleri, anche “La concessione del telefono". E adesso c’è “Màkari” tratto dai libri di Savatteri.

Lei con la Sicilia sembra avere un legame forte…

«E aggiungerei anche il lavoro di Paolo Virzì girato in Sicilia, “My name is Tanino”. Eppure, curiosamente, conosco poco l’Isola, l’ho frequentata meno di quello che vorrei, pensi che non ho mai messo piede su un set di Montalbano. Sono stato, invece, diverse volte a Palermo per Salvo e Valentino. La Sicilia, però, mi manca».

Virzì è un po’ il suo fratello d’arte, lui livornese, lei d’origini labroniche...

«È il mio fratello maggiore anche se anagraficamente minore. È stato lui a convincermi ad andare a Roma dove frequentava il Centro sperimentale di Cinematografia per diventare sceneggiatore mentre io ero ancora all’università. Da lì è cominciata la nostra collaborazione».

Difficile sceneggiare in… siciliano?

«Sì, però quando si ha a che fare con un testo prezioso come quello di Camilleri o con due talenti comici speciali come Salvo e Valentino, basta stare in ascolto e sintonizzarsi sul tono delle persone con cui stai lavorando. Le storie di Montalbano hanno cambiato la tv italiana della fiction: il merito del successo è tutto di Camilleri, io ho solo sfrondato i romanzi per portarli a una misura televisiva. Una grande fortuna. Il lavoro con Ficarra e Picone è stato impegnativo, i loro film non sono una sequenza di gag. E ho imparato i loro tempi».

“Cosa sarà” è un lavoro travagliato…

«È stato bloccato una prima volta nel marzo 2020 per l’esplosione del Covid; poi è stato invitato alla Festa del Cinema di Roma, il 25 ottobre è uscito nelle sale, il giorno successivo i cinema sono stati chiusi ancora per Covid. La distribuzione è avvenuta sulle piattaforme e su Sky e, quest’estate, nelle arene».

Bisogna fidarsi: sembra essere questo il suggerimento del film, quando di mezzo c’è una grave malattia. Una realtà attuale...

«C’è stata una sovrapposizione non desiderata del tema della malattia, nel film si vedono parecchie mascherine che però hanno una funzione diversa, il Covid non c’entra, c’entra la chemio. Siamo stati perfino costretti a cambiare titolo che inizialmente era “Andrà tutto bene”, diventato durante la prima ondata di pandemia uno slogan. “Cosa sarà” è quasi profetico. Con la malattia si può convivere».

Che cosa è stato per lei “Scialla!”, suo debutto alla regia?

«Doveva essere un’esperienza unica, invece è stato un tale successo, anche a livello internazionale, che mi ha spinto a continuare. E sono passati già dieci anni»

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