L’esibizione più bella dell’Eurovision, che vince tutto, non è stata nemmeno dietro le quinte, ma proprio altrove, nel bar dell’albergo di Torino in cui alloggiano Mahmood e Blanco, in gara per l’Italia. Si sono incontrati per caso coi membri della band ucraina dei Kalush. C’era un pianoforte, c’erano i flauti con cui gli ucraini accompagnano il loro particolare rap-folk. E c’era, tutto attorno, quell’atmosfera specialissima – e quest’anno ancora di più – che non è di competizione ma di condivisione.
E allora hanno fatto la cosa più normale del mondo: hanno cantato e suonato assieme. Per se stessi, per i baristi, per i pochissimi che erano lì, per null’altro che non fosse quella cosa che è già dentro la musica, e l’atto di suonare e cantare per stare assieme: uno dei gesti di pace e di socialità più antichi della storia umana. Accompagnati (egregiamente) al piano dall’amico produttore Michelangelo (ovvero Michele Zocca, lo ricordate sul palco di Sanremo con i due artisti al momento della vittoria?), al flauto dall’ucraino Ihor Didenčuk, Mahmood e Blanco hanno cantato un pezzettino di “Brividi”, a cui è seguito il ritornello di “Stefania”, coi Kalush a cantare e gli italiani a suonare e battere il tempo. Così, con un accordo a legare le due canzoni, con tutta la naturalezza con cui gli esseri umani s’incontrano e si scambiano la musica da sempre.
Stasera sul palco saranno avversari, ma questo non ha alcuna importanza. Quello che doveva accadere è già accaduto, e continua ad accadere sotto i nostri occhi, travestito da competizione: gli uomini s’incontrano, si dicono cose, anche in lingue diverse, magari sconosciute gli uni agli altri, ma che arrivano lo stesso. Abbiamo avuto i brividi, abbiamo sentito tutta la tristezza e la passione delle mamme ucraine (a cui è dedicata “Stefania”). E questa immagine, tratta dal video che ha girato tutti i social, ieri, ferma quel momento: cos’altro è la pace, se non questa breve, perenne armonia?
Caricamento commenti
Commenta la notizia