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Il mito e noi: se lui non vuole combattere

Odisseo che aveva provato a fingersi pazzo, Achille nascosto tra le donne e i soldati coscritti di oggi che fuggono la guerra

L’oracolo era stato chiaro, stavolta: se Achille fosse andato a combattere sotto le mura di Troia avrebbe perso la vita. E lei, sua madre, questo non poteva permetterlo; non poteva rinunciare a quel figlio che amava sopra ogni cosa. Non aveva cercato le nozze con Peleo; al contrario, si era ripetutamente sottratta al suo amplesso, mutandosi in fuoco, in acqua, in fiera selvaggia. Ma quando divenne seppia, lui riuscì a catturarla, e il giorno in cui le nozze si celebrarono, mentre la letizia regnava sovrana, il lucore delle sue lacrime si confondeva con lo sfavillio delle perle con cui le altre Nereidi le avevano intrecciato i capelli. Lei, Teti, immortale creatura del mare, la nipote di Oceano, andava sposa a un mortale per volere di Zeus, che pure avrebbe ambìto al suo amore: e ciò, perché un vaticinio lo aveva avvertito che un figlio nato da lei sarebbe stato più forte del padre. L’onta di quelle nozze Teti non la poteva accettare.
Ma era nato Achille da quelle nozze, e per lui aveva subito iniziato a battere il suo nuovo cuore di madre. Dal giorno in cui nei suoi occhi si era abbandonato per la prima volta il trepido sorriso del figlio, aveva fatto di tutto per eliminare la parte mortale di lui, adagiandolo di notte nel fuoco, perché questa bruciasse, e ungendolo di giorno con l’ambrosia divina. Ma Peleo se n’era accorto, e aveva rovinato ogni cosa, spingendola a tornare tra i flutti. Da allora, Teti aveva seguito il figlio a distanza, senza però mai smettere di preoccuparsi per lui.
È forte, Achille, come aveva predetto l’oracolo che sarebbe stato il figlio di Teti e come ci si aspetta da chi è stato allevato dal centauro precettore di eroi, il sapiente Chirone; Teti lo ha constatato quando è salita sul Pelio per sottrarlo al destino di morte e il suo orgoglio di madre le è dilagato nel cuore. È forte, ma non immortale. E dal momento in cui, dagli abissi marini, la madre ha visto i remi delle navi dei Greci fendere i gorghi, non ha pensato ad altro che a metterlo in salvo, a sottrarlo agli Achei, pronti a punire con una guerra chi ha strappato Elena al marito, decisi a trovare il suo Achille, perché senza di lui Troia non può essere presa. Ma una madre non può accettare che il proprio figlio sia immolato all’orgoglio o alla rivalsa di un uomo.
Ora Achille è a Sciro, nella piccola isola del re Licomede risonante di voci di donne; Teti ve lo ha condotto mentre dormiva, perché non rifiutasse, aggiogata una coppia di delfini a un morso di bianche conchiglie. Una serica veste da donna gli nasconde le forme scolpite, porta raccolti sul capo i capelli colore dell’oro, gemme preziose ne addolciscono i tratti; si confonde tra le giovani figlie del re. Ma Odisseo è sulle sue tracce, e presto – la madre lo sa – non sarà servito a nulla tenere lontano da lui ogni colpo di remi, ogni clangore di armi, ogni voce di guerra.
Eppure, neanche Odisseo avrebbe voluto partire per Troia. È a questo pensiero che torna la mente del più astuto dei Greci, ora che è giunto alla reggia di Sciro. Ricorda la spiaggia bianca di Itaca, la figura slanciata della sua donna, che stringe tra le braccia il loro bambino mentre il vento le scompiglia i capelli; la luce del meriggio che gioca con la spuma del mare, incendiandola: era quello il suo mondo, quella la sua vita, quello il suo piccolo regno felice. Se fosse partito per la guerra – un vaticinio lo aveva avvisato – sarebbe ritornato vent’anni dopo, povero e senza compagni. Il bambino che ora gli tendeva le braccia sarebbe diventato uomo senza di lui; la lunga attesa avrebbe cancellato dal volto della sua donna quella fiduciosa, giovanile dolcezza; i suoi genitori sarebbero invecchiati senza godere del sostegno del figlio e forse sarebbero morti, col rimpianto nel cuore di non averlo potuto abbracciare un’ultima volta. Vedere avvicinarsi la nave su cui sarebbe dovuto partire e decidere di fingersi pazzo era stato tutt’uno: aveva indossato il cappello dei folli, aggiogato un bue e un cavallo e si era messo ad arare la spiaggia, seminando sale nei solchi, come si fa per isterilire la terra. Anche lui aveva conosciuto il rifiuto della chiamata: perché, allora – si chiede, adesso è a Sciro a stanare Achille? Per obbedienza o affinché la sua messinscena non fosse l’unica a venire scoperta? (Un brivido gli corre ancora lungo la schiena al pensiero del piccolo Telemaco, posto davanti all’aratro da Palamede perché lui si fermasse, tradendosi). Perché nasconde in quella sala uno scudo e una lancia in mezzo a drappi e monili nella speranza di smascherare il figlio di Teti, attirandolo con il baluginio delle armi? Era davvero un atto dovuto, sacrificare il proprio mondo di consuetudini e affetti per le rivendicazioni di un altro?
Sicuramente non era facile, e meno che mai lo è stato nella vita reale, fino alle cronache dell’ultima guerra del nostro tempo. Non lo è stato per quegli ucraini che, al momento dell’invasione, chiamati a difendere la loro terra, hanno tentato con passaporti falsi di passare il confine, nascosti tra i giocattoli dei loro figli o travestiti, come Achille, da donne. E non lo è oggi per tutti quei russi che, nel rispetto di un decreto di «mobilitazione parziale» (un provvedimento eccezionale, applicato finora solo nel 1914 e nel 1941), sono convocati in caserma da una cartolina precetto o prelevati a forza dalle loro case e spediti al confine, a combattere una guerra per la quale sono impreparati e alla quale non credono.
La stampa di questi giorni ha riferito di proteste nel Dagestan contro gli ufficiali incaricati del reclutamento (i Palamede e gli Odisseo di questa guerra), di ribellioni di piazza sedate con una sequela di arresti, di uomini in fila nei consolati europei in attesa di un visto, di auto in coda alle frontiere, di assalti ai voli per Istanbul, Belgrado o Dubai, i cui prezzi sono ora schizzati alle stelle. E intanto, le repubbliche più lontane dal centro, le stesse in cui sono iniziati gli arruolamenti forzati, intimano ai riservisti di non lasciare le loro città, bloccando loro ogni via di fuga, e si inaspriscono le pene per chi diserta o non si presenta alla leva. Sono quindici gli anni di detenzione comminati a chi se ne rende colpevole durante la «mobilitazione parziale», e di fronte a ciò fanno ancor più paura i numeri massimi previsti per quest’operazione punitiva del terzo millennio: trecentomila coscritti o – se esiste davvero l’articolo secretato, svelato dalla «Novaja Gazeta» – addirittura un milione.
Nel mito antico, tradito dall’attenzione per le armi, che accendono il suo sguardo seppur nascoste tra sete e gioielli, Achille sposa in pieno il destino di eroe a cui Teti aveva provato a sottrarlo, e lo stesso fa Odisseo, che potrà alla fine tornare ad abbracciare Telemaco. Ma non è eroico il futuro che attende i soldati russi. E l’immagine del bambino di Belgorod, che piange disperato mentre il padre sale su un pullman che lo porta lontano, in ossequio alla volontà di potenza del suo presidente, resterà tra le più dolorose di questa guerra.

di Anna Maria Urso

*Professoressa associata di Filologia classica e Drammaturgia classica Università di Messina

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