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Pasolini, il corpo della poesia: emozionante “dialogo” tra le tante mostre romane

Da «Tutto è santo», un progetto espositivo articolato in tre luoghi diversi, all’antologica delle sue opere pittoriche: artista tutto, artista sempre

Pier Paolo Pasolini

«Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere» diceva Pier Paolo Pasolini, un “diverso di genio”, come qualcuno ha notato, per il cui centenario (Bologna 5 marzo 1922- Roma 2 novembre 1975) le celebrazioni, gli incontri culturali, le mostre, le pubblicazioni si sono moltiplicati come c’era da aspettarsi per un intellettuale totale che ha vissuto nella letteratura come nel teatro, nel cinema, nella poesia, nella pittura, nell’arte tutta, nel nome di un umanesimo universale. Pochi come Pasolini hanno saputo mutare il dolore in bellezza, lo sconforto in energia creativa, lo scandalo in sacralità: un gigante di fronte al quale, come scriveva la sua cara amica Giovanna Bemporad, «ci si sente sopraffatti».
Tra le tante celebrazioni, a Roma, città di cui Pasolini è stato costruttore di narrazioni, due mostre si parlano tra di loro e ci parlano rivelandoci il genio: una è «Tutto è santo», un progetto espositivo coordinato e condiviso, articolato in tre mostre distinte, promosso dall’Azienda Speciale Palaexpo di Roma, dalla Galleria Nazionale di Arte Antica e dal MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. Il progetto, concepito e curato collettivamente da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera, Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti, Bartolomeo Petromarchi, Clara Tosi Pamphili, ha come idea di partenza il corpo, la cui potente sacralità è pari a quella del mondo, e perciò «tutto è santo», espressione pronunciata dal centauro Chirone in “Medea” (1969), capolavoro, tra gli altri, del cinema pasoliniano.
Invece un viaggio interdisciplinare tra dipinti, immagini, libri, documenti, foto e fotogrammi, dentro e fuori il mondo pasoliniano, attraverso la mostra del Palazzo delle Esposizioni (fino al 26 febbraio) intitolata «Il corpo poetico», dove il corpo-incarnazione della parola attraversa e sperimenta il mondo nella sua sacra fisicità. Quindi, alle Gallerie Nazionali di Arte antica di Palazzo Barberini, «Il corpo veggente» (fino al 12 febbraio) esplora il ruolo determinante dell’ispirazione della tradizione artistica nel cinema e nell’immaginario figurativo pasoliniano. E qui c’è il potere delle immagini, dai Primitivi al Barocco, dai pittori giotteschi a Michelangelo, Pontormo, Caravaggio. E poi, al MAXXI con «Il corpo politico» (fino al 12 marzo) l’opera pasoliniana è letta attraverso voci di artisti contemporanei le cui opere evocano l’impegno politico dell’autore. Un’esposizione concepita come una sorta di macrotesto che include il dialogo tra le opere degli artisti e gli oltre 200 documenti – tra foto e testi – legati all’ultima fase della carriera di Pasolini.
«Pasolini pittore» è un progetto espositivo esclusivo, curato da Silvana Cirillo, Claudio Crescentini e Federica Pirani per la Galleria d’Arte Moderna, promosso da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Università La Sapienza di Roma, il Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Viesseux di Firenze, il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia e la Fondazione Cineteca di Bologna. A oltre quarant’anni dall’ultima mostra antologica su Pasolini pittore (Roma, Palazzo Braschi, 1978), questa mostra intende rivolgere l’attenzione su un aspetto artistico piuttosto dimenticato, quello della pittura di Pasolini, che «ut poesis», come la letteratura, come il cinema, serve «a far parlare le cose», a fecondare la realtà, con la sua ricchezza espressiva presente nelle oltre 150 opere che vanno dagli inizi pittorici negli anni Quaranta, di pari passo con le prime prove poetiche in friulano, alle prove più mature e complesse.
Olii, tempere e gessetti colorati su carta, tempere e pastelli su carta bruna, matita ocra rossa su carta, olii su cellophane, pennarelli e penna e inchiostro nero su carta, olii su faesite, ma anche olii su tela e stampe fotografiche in bianco e nero su cartoncino baritato. Ritratti maschili e femminili, autoritratti, paesaggi (quelli amati e mitici di Casarsa), «ritratti dell’anima», di familiari (tra i quali commovente quello con la madre Susanna), di amiche e amici a lui carissimi (Maria Callas, Laura Betti, Giovanna Bemporad, Ezra Pound, Ninetto Davoli, Giuseppe Zigaina, Federico De Rocco, del suo maestro Roberto Longhi). E, ancora, fotogrammi di Pasolini mentre dipinge o ritratti di Pasolini da parte di altri pittori (Calabria, Guttuso, Levi, Manara, Schifano). E, dalle stanze delle sue diverse case romane, quadri-regali di amici noti artisti, De Chirico, Guttuso, Manzù, Savinio, Warhol, Matisse, per la prima volta in mostra grazie alla collaborazione con la famiglia.
Ma muovendosi tra le diverse sedi museali, su tutto campeggia il volto-corpo di Pasolini, il corpo-figura come anticipazione di ciò che non si vede ancora, secondo la lettura di Auerbach, ma che sarà. Epifania del corpo veggente che il suo amico Fabio Mauri (nato nel 1926) e con il quale Pasolini ebbe un rapporto di “consanguineità” creativa (bella la sala in cui si specchiano i disegni dei due pittori) onorerà il 31 maggio 1975, pochi mesi prima della morte di Pier Paolo, con un’opera eccezionale: sulle scale esterne della Nuova Galleria Comunale di Bologna il corpo di Pasolini viene trasformato in uno schermo umano su cui è proiettato il suo film «Il Vangelo secondo Matteo» (1964). Il film scorre sul corpo fattosi schermo, di Pasolini che resta seduto, fermo, immobile. E il corpo si fa storia evangelica tramite l’arte, ricostruita dall’uomo per l’uomo.
Il corpo, da sempre in mostra, di Pasolini e da parte di Pasolini, che nel suo «Decameron» si fece attore impersonando un pittore allievo di Giotto: inquadrato in primo piano, appare nei panni dell’artista che con le mani cerca di delineare il campo di visione. Come a dire, la pittura antica come “figura” del cinema in un incrocio di piani visivi senza tempo o al di fuori del tempo.
Il corpo popolare, il corpo della crocifissione, tema ricorrente nell’immaginario poetico e visivo pasoliniano (indimenticabile il borgataro Tomaso di «Una vita violenta», il cui corpo “santo” appare “crocifisso” nel momento della “passione” quando sacrifica la sua giovane vita per salvare una prostituta).

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